Non io nei giorni felici

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Non io nei giorni felici
Beckett, Adriatico e il teatro del desiderio

RACCOLTA DI SAGGI

a cura di Stefano Casi

Edizioni Titivillus, 2010
pp. 224
euro 13,00 anziché 16,00
(a cui ai aggiunge: spedizione tracciabile: € 3.50; raccomandata, € 5.00)

Autori: Giovanni Azzaroni, Stefano Casi, Mary F. Catanzaro, Eleonora Felisatti, Stanley E. Gontarski, Gerardo Guccini, Giuseppe Liotta, Massimo Marino, Lorenzo Orlandini, Paolo Ruffini, Dina Sherzer, Franco Vazzoler, Piermario Vescovo.
Con un’intervista a Andrea Adriatico di Giacomo Paoletti.
Prefazione: Keir Elam.
Postfazione: Roberto Grandi.
Fotografie: Raffaella Cavalieri.

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Descrizione

Un libro sulla drammaturgia e su come questa drammaturgia si trasforma in scena, attraverso l’esempio degli spettacoli di Andrea Adriatico e Teatri di Vita dedicati a Samuel Beckett.
Nel volume, curato da Stefano Casi e pubblicato da Titivillus, quattro testi di Beckett sono passati al vaglio di nuove interpretazioni: Atto senza parole, Giorni felici, Non io e Dondolo rivelano aspetti inconsueti, dalla messa in scena dell’erotismo o della femminilità alla rappresentazione del kitsch o della ribellione, per un inedito teatro del desiderio.
Quattro testi passati anche al vaglio della scena negli spettacoli di Adriatico del ciclo Non io nei giorni felici (2009), con ulteriori nuove interpretazioni. Partendo da qui studiosi e critici portano alla luce altre riletture beckettiane (dal tema della dipendenza al confronto con la cultura giapponese) e avanzano ipotesi e analisi sul ventennale lavoro di Adriatico, anomala figura artistica nel panorama teatrale di questi anni.
Un libro in due parti indipendenti, ma che si rispecchiano tra loro, offrendo un inedito viaggio nei mondi di dolore e ironia descritti nei testi di Beckett e negli spettacoli di Adriatico, con i contributi di critici e studiosi, tra cui alcuni tra i massimi esperti di Beckett.

Uno dei motivi per cui il teatro beckettiano rimane non solo attuale ma continuamente riattualizzato e rivisitato in tutto il mondo – e in Italia in modo particolarmente proficuo, come le sperimentazioni di Adriatico dimostrano – è proprio la sua prorompente performatività, quell’incompiutezza della parola che solo la performance può compensare anche se mai completare

(dalla prefazione di Keir Elam)

Il rapporto con i testi beckettiani non è mai, nelle messe in scena di Adriatico, un semplice adeguarsi alle prescrizioni date e «attese?», non è una relazione pacifica, ma un corpo a corpo da cui emerge, alla fine, un senso che è Beckett e Adriatico allo stesso tempo. Mettere in scena un testo è costruire una macchina di produzione di senso rispetto alla quale gli spettatori godono della stessa libertà di interpretazione attivata dal regista.

(dalla postfazione di Roberto Grandi)

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