Quelli che si allontanano da Omelas
di Ursula K. Le Guin
traduzione di Roberta Rambelli
adattamento di Davide Sacco
ideazione, regia, spazio Davide Sacco / ErosAntEros
con Eva Robin’s
musiche La Mano Sinistra (Giuseppe Lo Bue, Gianluca Lo Presti, Davide Sacco)
consulenza letteraria Sara Tamisari
produzione Teatri di Vita, ErosAntEros
“The Ones Who Walk Away from Omelas” by Ursula K. Le Guin
Per gentile concessione di Curtis Brown, Ltd. e dell’Agenzia Danesi Tolnay
Copyright © 1973
Tutti i diritti riservati
anteprime 6 settembre 2025, Civita Festival, Civita Castellana (VT); 20 settembre 2025, Armonie d’Arte Festival, Borgia (CZ); 27 settembre 2025, 15 anni di ErosAntEros, Ravenna
prima nazionale 16-19 ottobre 2025, Teatri di Vita, Bologna

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Il racconto Quelli che si allontanano da Omelas (Premio Hugo) di Ursula K. Le Guin ci pone di fronte a una riflessione sui paradossi del mondo e sull’indifferenza umana. Questa indifferenza permetterà forse alle persone che incontreranno questo spettacolo di riporre le suddette riflessioni in quell’angolo di coscienza che è ormai colmo di notizie e immagini di ingiustizia, guerra, genocidio, che scorrono quotidianamente davanti ai loro occhi?
Il celebre romanzo La mano sinistra delle tenebre (Premio Hugo e Premio Nebula), narra di un pianeta popolato da individui androgini e allo stesso tempo ermafroditi e di un umano ostacolato nella sua missione di ambasciatore per la Lega Intergalattica dalla propria mancanza di comprensione per questa società.
Nel suo altrettanto celebre I reietti dell’altro pianeta (Premio Hugo, Premio Locus, Premio Nebula, Premio Jupiter) l’autrice narra di un piccolo mondo di persone che si sono date il nome di “odoniani” in memoria della fondatrice della loro comunità, Odo, vissuta varie generazioni prima dell’epoca in cui si svolge il romanzo. L’odonianismo è anarchia, il cui bersaglio principale è lo stato autoritario, e la sua principale componente morale-pratica è la collaborazione nelle forme della solidarietà e dell’aiuto reciproco.
Nell’introduzione al racconto La vigilia della rivoluzione l’autrice definisce Odo come “una di coloro che si allontanarono da Omelas”.
In una scena rarefatta e misteriosa, ideata da Davide Sacco, l’iconica Eva Robin’s, in costante relazione con la musica darkwave de La Mano Sinistra, racconta, grazie alla forza del suo personale portato e mettendo in gioco il proprio corpo politico, una storia che non può lasciare indifferenti, mentre crude immagini di realtà affiorano nell’aria, violente quanto eteree, per connettere le parole di questo potente racconto di Ursula K. Le Guin con il quotidiano dei nostri giorni e le sue macroscopiche ingiustizie planetarie oramai divenute abitudine.
Visioni critiche e social
Omelas è lo spazio/tempo che c’è oltre la stessa “Utopia”, non come un quantistico universo parallelo ma bensì in quanto metafora stessa della condizione umana all’interno dell’Universo, quella condizione umana tanto cara, psicologicamente, antropologicamente e anche metafisicamente, alla fantascienza distopica di Ursula K. Le Guin (nonchè di Philip K. Dick, ovviamente).
Quelli che si allontanano da Omelas, lo spettacolo ideato e diretto da Davide Sacco di Erosanteros, è appunto il bel adattamento, nella traduzione di Roberta Rampelli, di un racconto della famosa (non solo tra gli amanti del genere) scrittrice americana, rispettoso e fedele ma capace di farne esplodere il senso quasi dissezionandolo in lacerti lanciati, tra musica e parola, verso il pubblico affinché possa impossessarsene e fruirne al meglio.
Al centro l’idea stessa dell’Umanità fondata, fin dal racconto biblico, sul capro espiatorio destinato ad assorbirne il male per ‘consentirne’ il bene, un’idea intercettata continuamente nell’ approccio mimetico di René Girard in cui filtra e decanta una riflessione comune, da Dostoevskij al controverso filosofo e psicologo statunitense William James, fonte diretta ed esplicita della complessa elaborazione, tra il tragico, l’epico e il lirico della Le Guin.
Molto si è detto e scritto di Girad e del Capro Espiatorio, basterà citare una frase tratta dai Vangeli e riportata nell’ultimo capitolo del suo omonimo libro: “Quando verrà il Paracleto (il difensore unversale ndr), disse Gesù, mi renderà testimonianza, rivelerà il senso della mia morte innocente e di ogni morte innocente, dall’inizio alla fine del mondo”. Molto più di una metafora pertanto, diventa una universale ed esistenziale condizione di ‘attesa’ di salvezza.
Omelas è infatti il luogo della felicità, sospesa però ad una oscura menzogna, quella di poter imprigionare tutto il male in un povero bambino abbandonato in un buio carcere, torturato e oppresso, avvelenato sino allo sfinimento mentale e fisico da quel male che gli è affidato.
Un sacrificio di cui e in cui tutti sono testimoni (martiri nella etimologia greca) e di cui tutti patiscono l’oblio del dolore del mondo, volgendo altrove il capo.
È il quesito più profondo dell’esserci che ne mette in discussione i presupposti ed in cui la metafisica attraverso l’estetica si fa, quasi spinozianamente, Etica della Natura.
Un plot narrativo illuminato dalle riflessioni profetiche di William James citate dalla Le Guin e che è opportuno riportare almeno in parte: “Oppure, se ci venisse offerta l’ipotesi di un mondo in cui le utopie dei vari Fourier e Bellamy e Morris venissero tutte superate e milioni d’individui venissero mantenuti nella continua felicità alla semplice condizione che una certa anima perduta […] «anche se dentro di noi sorgesse l’impulso di afferrare la felicità così offerta» quanto sarebbe odioso goderne quale frutto deliberatamente accettato di tale mercato?”.
Un quesito tanto inattuale da essere sempre ‘attuale’, percorrendo dalla oscurità del Tempo l’uomo e la donna, come ci dimostrano, tra gli altri, prima la Shoah e ora, in paradossale ribaltamento, gli eventi tragici di Gaza martoriata, esplicitamente e giustamente richiamati in video, cui la narrazione non sembra avere risposta se non, luce in fondo al tunnel, la scelta di ‘sottrarvisi’ di alcuni (tanti?) giovani abitanti che si allontanano da Omelas, silenziosamente verso il deserto o le montagne, verso un luogo inimmaginabile.
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Davide Sacco affronta qui una materia ‘scabrosa’ e complessa, ma lo fa con grande ‘umiltà’ (che è un pregio e non un difetto) e direi anche con una certa dose di ingenuità (che è anch’essa spesso come qui una virtù), restando come detto molto fedele al testo ma sezionandolo e, come in un travestimento, incistandolo con le canzoni che lui stesso canta molto bene e, con la brava band La mano sinistra dal vivo, con la musica generata da quelle stesse parole.
Al suo fianco e a fianco della scena, direi in una iconica controscena, Eva Robin’s, misurata ed efficace nella dizione e nella mimica, distopicamente vestita a suggerire forse la narratrice del famoso Il racconto dell’Ancella, così da richiamare i temi di un femminile mai esplicitamente citato ma ben presenti, a mio avviso, nella trama del sottotesto.
Ne nasce uno spettacolo di grande intensità, semplice nella stesura scenica ma in grado di coinvolgere in profondità il pubblico presente che ha a lungo e con partecipazione applaudito.
L’aspect musical est fondamental dans les spectacles de la compagnie ErosAntEros. Davide Sacco a monté Quelli che si allontanano da Omelas (Ceux qui partent d’Omelas), d’après le roman de science-fiction de l’écrivaine américaine Ursula K. Le Guin, avec des musiciens et Eva Robin’s, une comédienne iconique en Italie, qui fait ici un magnifique travail de récitante, de soliste. C’est du théâtre musical, entre littérature et réalité. Les trois musiciens de La Mano Sinistra (Giuseppe Lo Bue, Gianluca Lo Presti, et Davide Sacco lui-même) jouent en live, ils sont excellents, et cela apporte beaucoup au spectacle. On pourrait penser aux songs de Brecht, sur des rythmes d’aujourd’hui.
Le troisième élément, très important, dans la mise en scène de Davide Sacco, c’est la vidéo avec des images de guerre, des images violentes reflétant l’actualité. On y voit des enfants seuls, abandonnés. Les éclairages, jouant sur le noir et les gris, créent une atmosphère mystérieuse et mélancolique.
Dans le roman d’Ursula K. Le Guin, Omelas est, apparemment, une ville utopique, une ville de conte de fée où règnent la prospérité et une forme d’humanisme. Pas de roi, pas d’esclaves, pas de hiérarchie. Mais cela au prix fort : tacitement, le bonheur de la ville repose sur la misère, les malheurs d’un enfant, sorte de bouc émissaire. Ses souffrances sont telles que ceux qui le voient quittent Omelas, et ne reviennent jamais. Où vont-ils ? On l’ignore. Mais peu importe. Sans doute, ont-ils fait le « bon » choix. Ursula K. Le Guin s’inscrit dans une philosophie morale. D’aucuns prétendent qu’elle se serait inspirée des Frère Karamazov de Dostoïevski mais l’écrivaine a toujours dit qu’elle avait trouvé le thème de l’enfant bouc émissaire chez le psychologue et philosophe américain, William James. S’il est difficile de dire que la question du bien et du mal est présente dans le spectacle de Davide Sacco, en revanche, on y trouve la question de la tolérance et du respect de l’autre. Les images de guerre en vidéo évoquent la guerre en Ukraine, les atrocités de Gaza, les paradoxes de nos sociétés modernes qui courent après un bonheur factice et qui, malgré leur prospérité, se referment de plus en plus sur elles-mêmes, et refusent de voir la souffrance des autres.
Ce qui fait la force du spectacle de Davide Sacco, c’est sa simplicité apparente. Si l’on analyse ce que l’on voit, on pourrait même parler de ‘statisme’ : statisme d’Eva Robin’s qui nous fascine par sa voix, par sa présence… Statisme des trois musiciens derrière leurs instruments. En fait, ce qui ‘bouge’, ce sont les images, c’est-à-dire la réalité. C’est comme si la récitante et les trois musiciens voulaient être uniquement les porte-paroles de la romancière. Et c’est précisément cette humilité qui donne au spectacle sa dimension politique. Et puis, on se laisse emporter par la musique de La Mano Sinistra.
Il 26 e 27 settembre scorsi la compagnia ErosAntEros ha festeggiato a Ravenna i suoi primi quindici anni presentando in anteprima due nuovi lavori. Fondata in questa città nel 2010 da Agata Tomsic, attrice e dramaturg italo-slovena, e da Davide Sacco, music designer e regista, la compagnia ErosAntEros si è dedicata inizialmente a raffinate sperimentazioni su immagine e suono, che hanno tenuto in secondo piano la parola e che soprattutto facevano a meno di un vero e proprio testo.
(…)
Vale la pena di spendere qualche parola sulle due nuove produzioni. Perché con esse ErosAntEros rilancia e raddoppia, in più sensi. Intanto perché si tratta di lavori che vedono impegnati separatamente Agata e Davide. La prima è alle prese con i testi dedicati in momenti diversi a Medea dal drammaturgo tedesco Heiner Müller, riuniti col titolo Materiale per Medea. Il secondo debutta come performer (cantante) in proprio in un monologo-concerto basato sull’adattamento di un racconto distopico di Ursula Le Guin (Quelli che si allontanano da Omelas). Due lavori di sicuro impatto e sofisticata confezione, pronti ad andare in tournée.
Nel primo, in particolare, colpiscono e inquietano – in alternanza con la band darkwave La Mano Sinistra – il volto e la voce di Eva Robin’s, catafratta nel ruolo di un fantascientifico storyteller immobile, come in una pièce di Beckett, ma sdoppiata tra presenza dal vivo e proiezione sul fondale. Nel secondo, giocato su di un ricercato dosaggio di buio e luci radenti, che alla fine “aggredirà” gli spettatori seduti in cerchio, stanandoli nel loro voyerismo da peep-show, Agata Tomsic, sola in scena, conferma la sua ammirevole crescita come regista e come attrice di grande intensità e precisione, capace di mettersi in gioco fisicamente come mai prima.
In modi diversi, per i temi evocati e i linguaggi utilizzati, queste due creazioni confermano la vocazione di ErosAntEros a interrogarsi sulle drammatiche questioni che opprimono il nostro presente (razzismo, violenza di genere, stermini…) e chiamano gli spettatori a una assunzione di responsabilità non più differibile.
È in scena, questo fine settimana, in prima nazionale, a Teatri di Vita – Bologna il nuovo spettacolo di Davide Sacco, “Quelli che si allontanano da Omelas”, ispirato all’omonimo racconto breve di Ursula K. Le Guin, con Eva Robin’s e la musica di La Mano Sinistra. Nella migliore tradizione di ErosAntEros lo spettacolo ti avviluppa nella dimensione politica di una rilettura della questione riguardante la tolleranza, il rispetto del pensiero dell’altro, la visione di un mondo che inseguendo una felicità plastificata finisce per ignorare le condizioni essenziali che riguardano la libertà individuale e l’autodeterminazione. Trascinato da un accompagnamento sonoro martellante, avvolto dalle luci minimali ma potenti di un allestimento concettualmente “minimal” ma di assoluta compiutezza, lo spettatore viene condotto lungo un percorso di estrema attualità, che non dà risposte ma aiuta a compiere una riflessione sui giorni di guerra, di oppressione, di confusione politica che stiamo vivendo. Un’ulteriore occasione, insomma, di conferma di quanto il teatro possa accompagnarci a vivere non necessariamente avvinghiati ai più comuni stereotipi mediatici. Da non perdere, per chi può, fino a domenica 19 ottobre.
Quando, nel 1973, Ursula K. Le Guin, autrice americana di fantascienza, scrisse Quelli che si allontanano da Omelas, il mondo era in pieno fermento politico e sociale, a nemmeno trent’anni dall’Olocausto e in continuità con il ‘68, con le piazze piene di persone che chiedevano condizioni di vita migliori, più giustizia sociale e solidarietà tra i popoli.
Da allora sono passati cinquantadue anni e, purtroppo, molte di quelle richieste sono rimaste inascoltate in un mondo iper tecnologico che non è stato in grado, o lo ha scelto per conservare i privilegi di alcuni, di soddisfare le aspettative di quelle piazze.
È per questo motivo che l’adattamento teatrale che Davide Sacco, di ErosAntEros, sta mettendo in scena in questi giorni, e fino a domani, a Teatri di Vita, risulta quanto mai attuale, con le immagini di una Gaza rasa al suolo che, scorrendo dietro i protagonisti di quello che è stato concepito come concerto-spettacolo, contribuiscono a colpire profondamente gli animi degli spettatori i quali, ascoltando il recitato di una bravissima Eva Robin’s cui si alternano brani musicali eseguiti, in stile dark anni ‘80, da La Mano Sinistra, di cui fanno parte lo stesso regista alla voce con Giuseppe Lo Bue e Gianluca Lo Presti, che ne ribadiscono i concetti, hanno a poco a poco sentito incrinarsi la gioia degli abitanti di Omelas, una città perfetta, governata rettamente senza bisogno di governanti, unita nella fede senza bisogno di una religione, inebriata dall’amore libero senza incrinare la morale.
Ebbene, direte voi, dove sta la fregatura?
In questa città perfetta vive, rinchiuso in una stanza buia senza finestre nei sotterranei di un grande palazzo, un bambino che si nutre solo di un po’ di farina e di acqua e dorme sulle proprie feci, e tutti sanno che se a quel bambino fosse consentita un po’ di felicità, gli abitanti di Omelas non godrebbero più della loro gioia.
Facile fare paragoni con noi privilegiati occidentali e le popolazioni sterminate a casa propria o costrette a migrare, più arduo fare come alcuni giovani di Omelas che, dopo aver visto in che condizioni vive il bambino, decidono di allontanarsi dalla città.
Spettacolo prezioso, non perdetelo.
Omelas, quelli che se ne vanno, a firma Davide Sacco è liberamente ispirato ad un celeberrimo racconto paradigmatico della scrittrice sci fi Ursula Le Guin, una sorta di madrina di attitudine e pensiero rispetto a tutte le distopie a coloritura femminista susseguitesi poi fino alle teorizzazioni antispeciste di Donna Haraway. Omelas è una sorta di giardino dell’Eden per come se lo può immaginare un californiano utopista e freakkettone, pieno di libero amore ad ogni angolo di strada e in un regime di gestione comunitaria dei figli. Non si capisce bene se crimini, abusi, sopraffazioni siano contemplati, ma sembrano non esistere divieti cogenti o forze dell’ordine e superflua appare l’esistenza della magistratura visto che in una tale omogeneità di pulsioni e comportamenti, in una tale dissolvenza almeno apparente di classi sociali, non ci sono torti e giustizie da stabilire, disuguaglianze da mistificare o viceversa colmare. Via via che il climax descrittivo cresce e la narrazione da suadente che era agli inizi, diviene incalzante ed inquietante ad opera di una iperuranica Eva Robin’s perfettamente in parte nella indeterminatezza della sua natura ermafroditica e senza dati anagrafici e cronologici, il sospetto di trovarsi immersi in un mondo tutt’altro che auspicabile e “libero”, cresce nello spettatore. Anche perché a ridare pesantezza plumbea all’insieme, ci pensa la band molto dark capitanata da Sacco stesso che si produce in un costante contrappunto della storia proprio fisicamente a latere, a colpi di brani che sembrano usciti dalla discografia di Cure e Joy Division. Peccato non si rendano sufficientemente intelleggibili i testi delle canzoni, tutte in realtà originali, non già per fattori linguistici, pur essendo rigorosamente in lingua inglese, ma perché gli effetti sonori applicati ai microfoni che rendono la voce del cantante di un umano trascendente ed omogeneo al cliché, come si addice all’insieme, non ne permettono l’immediata comprensione. Lo spettacolo scorre così, frontale al pubblico come una liturgia che naturalmente come tutte le liturgie che si rispettino, cela un mistero. Mistero inattingibile ma ben strutturato nei suoi effetti secondari, in cui da un lato si evidenzia il valore dell’umana fallibilità, che forse era a suo tempo la preoccupazione centrale dell’autrice denunciando un mondo di ingegnerie sociali a venire, che in verità non si sono poi così verificate. Questa fase di capitalismo estremo sembra propendere per un caos catastrofico più che per una regolamentazione ferrea e non negoziabile dei principi, dunque quello che qui si evidenzia maggiormente è un altro tema: quello delle trasmissioni valoriali o viceversa rotture tra generazioni, quello del destino dei nostri giovani, in definitiva un tema di Futuro possibile o immaginabile. In questo lo spettacolo porta una cifra dolente nascosta nelle pieghe della vertigine temporale tra futuro affermato nelle intenzioni negato nelle premesse e nella sua costruzione ed eterno presente circoscritto perché la famosa comunità sa essere un luogo claustrofobico e persecutorio, una stanza buia come l’inconscio collettivo, questo oggetto tanto discusso eppure misterioso. i richiami, i riverberi così come quelli e della voce recitante e di quella canora, sono così a tutta una letteratura e a una filmografia, fino ai racconti della nostra Verasani che ci parlano di un desiderio dei nostri giovani di uscire dall’inquadratura. In maniera definitiva ed accusatoria. Robin’s è ieratica, spaziale, iconica e allo stesso tempo tagliente e accogliente là dove serve cambiare il registro e indirizzarci tutti dalla critica alla pietas. Le immagini documentarie di tragedia bellica e coloniale nonché erodiade di massa, non lasciano adito a dubbi sul fatto che si alluda ad una nostra possibile diserzione dall’orrore attuale. Naturalmente il suono la fa da padrone non solo nel senso evidente della presenza rock in scena, ma anche nell’ambientazione sonora complessiva che è parte costituente dell’immaginario che ci viene consegnato. Del resto, Davide Sacco è maestro in questa funzione “creattiva” e costruttiva.