Madame de Sade
di Yukio Mishima
uno spettacolo di Andrea Adriatico
per
Patrizia Bernardi (Renée, Marchesa de Sade)
Isabella Carloni (Signora di Montreuil)
Anna Rispoli (Anne-Prospère de Launay)
Dalia Zipoli (Contessa di Saint-Fond)
Monica Mioli (Baronessa di Simiane)
e la voce di Daniela Cotti (Charlotte)
(sostituzioni: Francesca Mazza, Silvana Strocchi, Francesca Ballico)
con i consigli drammaturgici di Michela Turra
contiene
ANARCHIE
Quel che resta di liberté, égalité, fraternité
di Milena Magnani
per Filippo Plancher e Giorgio Volpi
Scene e costumi: Roberto Ledda e Andrea Cinelli
Sarta: Pia Pancotti
Organizzazione: Monica Nicoli e Barbara Pulliero
Ufficio Stampa: Ilaria Pais Greco
Grafica e Immagine: Daniela Cotti
Tecnica: Rocco Bernasconi e Roberto Ledda
Amministrazione: Massimiliano Rella e Stefania Gelli
Produzione Teatri di Vita
con il contributo di Comune di Bologna – Regione Emilia Romagna – Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Lo spettacolo è dedicato a blondie, baronessa del sorriso
Prima rappresentazione: Bologna, Teatri di Vita, 12 maggio 1999
Nel marzo 2000 Andrea Adriatico e Anna Rispoli hanno tratto da questo spettacolo il video Anarchie.
Visioni critiche
Lo spettacolo ha ricevuto tre segnalazioni al Referendum per i Premi Ubu 1999: due come miglior regista per Andrea Adriatico (Stefania Chinzari, Paolo Ruffini) e uno come miglior attrice per Patrizia Bernardi (Paolo Ruffini).
Lo spettacolo di Adriatico, fluviale ma anche strutturata trasposizione dell’integralità del testo in tre puntate, quasi si trattasse di un feuilleton accademico (noi abbiamo assistito alle prime due) non riesce purtroppo a sbloccare la parola dai suoi giochi di forma e di posizione. Il movimento interno che marca dovrebbe essere evocato e contrappuntato dalla ronda di un grande cilindro (metallico all’esterno e rivestito di nero) tagliato al diametro, il cui ruotare svela e dissimula insieme, oltre a dare ritmo alle cesure.
Un impianto a tutta prima “tradizionale” che rivela apparentamenti, evoluzioni, plurime letture: su tutte, la complessa struttura di rotazioni di donne e cilindro nei tre atti, orbite di pianeti fissi che gravitano attorno alla stella che non c’è, e insieme partitura gestuale che rappresenta la datazione dei tre atti della vicenda, 1772 il primo, 1778 il secondo, la primavera del 1790 l’ultimo, a Rivoluzione già scoppiata. Da un lato dunque l’asciuttezza conchiusa della scena a fronte di spettacoli dove la componente spaziale era tanto dominante quanto elaborata; dall’altro l’ingresso di una completezza testuale che dichiara una significativa traiettoria rispetto alla performance.
Il racconto è lineare e a tratti anche intenso, specie nella scena del confronto finale fra madre e figlia dove le attrici Patrizia Bernardi e Isabella Carloni si fronteggiano in un duello di sguardi, di gesti appena trattenuti, in un dialogo di movimenti e di espressioni pieni di tensioni. Il linguaggio è semplice e diretto nei dialoghi che oppongono in sequenze alternate mai più di tre figure alla volta. Davanti a un cerchio ruotante di lucido e freddo argento che fa da palcoscenico si assiste quasi a un esempio di teatro da camera, tutto piani ravvicinati, pochi movimenti, toni sommessi e trattenuti, nonostante la scabrosità almeno virtuale dei temi.
Le fasi della storia vengono scandite dal ruotare della macchina scenica, mulino e giostra che rimescola opinioni e destini di cinque donne che col marchese hanno via via rapporti di odio, ripulsa, condanna morale, complicità, amore, sintonia nell’esperire estremo. Ma ogni posizione definita appare lievemente diversa ad ogni girare di macchina, nella luce cruda e nelle nette zone d’ombra disegnate da un impietoso grande faro. Con lo scorrere degli atti e l’irrompere di echi della rivoluzione niente sarà più uguale, se non l’attesa della devota moglie di de Sade. Ma la Storia si insinua anche all’interno di ogni atto con intermezzi recitati da due uomini con aggressivo piglio militaresco, fratture, lacerazioni esistenziali che ci portano al nostro oggi come a un copione insopportabile mandato malamente a memoria o come sentimenti giocati all’azzardo dei dadi. Le cinque attrici e i due attori corrispondono con impegno e sensibilità notevoli al nitido disegno del regista.
Una poltrona vuota è il centro di quel luogo della mente dove la forza centrifuga della vita viene a mancare, dove si arresta la rotazione incessante dell’esperienza, e dove il movimento è riposo, ma qui “è esistito”, “esiste” ed “esisterà” il Marchese Alphonse de Sade, il cui pensiero incombe come un’ombra sulla convenzione, sulla normailità, sulla morale di un Occidente ormai compiuto. A ciò si contrappone, in un gioco dualistico ritagliato e ricucito attraverso il linguaggio rarefatto di “Anarchie” intessuto dalle parole taglienti e devastanti pronunciate da Filippo Plancher e Giorgio Volpi), l’azione della coscienza il cui flusso cerca di liberarsi dal crampo mentale dell’esistenza ma viene trattenuta dal ricordo.
Del testo stupendo di Mishima il regista Andrea Adriatico per i Teatri di Vita di Bologna – in scena al Teatro Fondamenta Nuove – offre una lettura struggente, nell’interpretazione magnifica di Patrizia Bernardi, una Renée dolce e decisa. Adriatico ha abolito ogni commento musicale disegnando una partitura vocale di cinque donne, tutte attrici con varie esperienze nel teatro d’avanguardia.
(…) prezioso allestimento del testo di Mishima da parte di Andrea Adriatico e dei suoi Teatri di Vita. Spettacolo rigoroso, affidato alla solida presenza di un affiatato gruppo di attrici (dove spiccano la sempre splendida Francesca Mazza e la brava Patrizia Bernardi) chiamate a interpretare le “donne” del Marchese. (…) In una scenografia composta da un cilindro scintillante tagliato in una sua parte, una gabbia all’interno della quale si muovono le donne-belve, illuminate solo da un freddo riflettore, si cela l’amore: paradossalmente e intensamente, Madame De Sade con Adriatico diventa una riflessione sull’amore, sulle possibilità e sulla libertà dell’amore. Tutto è permesso, sempre. Un’anarchia sentimentale che il regista ha voluto rimarcare inserendo all’interno dello spettacolo un altro spettacolo: Anarchie, quel che resta di Liberté, Egalité, Fraternité, scritto da Milena Magnani. In uno dei tanti movimenti, la struttura svela due uomini in tuta militare, figure stranianti e contemporanee: parlano di virilità, di pudore, di sesso. Si toccano, lottano…
Due testi e uno stesso spazio, distillato in tre tempi. Il salotto settecentesco isolato da Mishima, testimone dell’amore “nonostante tutto” della bella e dolce Renée per il vizioso marito, Marchese de Sade, è anche il fuori luogo del “già e non ancora” di Anarchie. (…) Tra crudeltà e tenerezza Madame e Anarchie parlano la stessa lingua, nominano la stessa infelicità, scagliata nel ‘700 contro la morale costituita e nel 2000 contro “un’epoca d’influenza americana (…) epoca di neutralità”.