Società di pensieri n.1

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Società di Pensieri

RIVISTA TRIMESTRALE DI CULTURA

diretta da Stefano Casi

Edizioni :riflessi, 1992

numero 1
aprile 1992

lo straniero, radici e sradicati, selvaggi metropolitani
dedicato a Bernard-Marie Koltès*

euro 5,00 anziché 6,20
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Descrizione

numero 1
aprile 1992

lo straniero, radici e sradicati, selvaggi metropolitani
dedicato a Bernard-Marie Koltès*

Stefano Casi, Editoriale
Nawal al Saadawi, La donna e il sentimento di estraneità
Mario Tuti, Jean Genet o l’infamia della buona coscienza: una questione agli uomini di teatro
Giordano Montecchi, Il diavolo suona il violino
Saidou Moussa Ba, Uno “straniero” fa teatro, oppure un pubblico straniero vuole scoprire una nuova forma di teatro
Dario Trento, Cinque neometropolitani
Tewfik Baser, I paradossi di Elif (a cura di Emanuela Pierucci)
Antonio Caronia, Micromappa del ciberspazio

“Il marinaio è in città a comprare tempo”, fotografie di Filippo Partesotti

 

* (le dediche di Società di pensieri sono solo ideali: generalmente gli articoli non riguardano esplicitamente l’autore dedicatario)

 

Brani dal primo numero:

 

… Quando nacqui, in un paesino egiziano nel 1931, i miei occhi si aprirono su un mondo strano. Mi apparve il volto di mia madre, di mia nonna (madre di mia madre), l’altra nonna (madre di mio padre) e alcuni altri volti di zie (materne e paterne). Ma erano soltanto volti. Le voci che sentivo erano voci di uomini. Gli uomini parlano sempre a voce alta; le donne, per lo più silenziose, ascoltano gli uomini e nei loro occhi si scorge un opaco luccichio, che assomiglia al dolore o alla profonda tristezza che perdura negli anni. Non conoscevo ancora la parola e non conoscevo la parola maschio o femmina. Ma fu dagli occhi di mia madre e di mia nonna che appresi che ero come loro, che appartenevo ad un sesso marginale, sesso che non ha il valore dell’altro sesso, quello che chiamano “i Maschi”…

Nawal al Saadawi

 

… Genet coi suoi modelli di sottomissione e di dominio, con la sua visione della vita e del carcere come attraverso lo spioncino di una cella, come un voyeur o un secondino. Genet che ama travestirsi da genio e dissolutezza, e che diviene il fiore all’occhiello dei civici teatri, e il carcere una metafora rassicurante della società, dove il dramma si perde e resta l’effettaccio, lo spettacolo. Dove i condannati sono sempre colpevoli, moralmente prima ancora che giudiziariamente, e l’unica salvezza, l’unica possibilità di “rovesciare il male” è nel prostituirsi al potere, al potere carcerario e al potere del successo. Ed ecco che anche lo scandalo torna a chiudersi su se stesso, come una trappola o una prigione…

Mario Tuti

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