Senzaparole
di Samuel Beckett
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con Carlo Masi e Rossella Dassu
aiuto regia daniela cotti
scene andrea cinelli
fotografia raffaella cavalieri
tecnica alberto irrera
produzione esecutiva saverio peschechera con mariaconcetta mercuri e monica nicoli
produzione Teatri di Vita
sponsor tecnico TOGNANA
Debutto: Bologna, Teatri di Vita, 12 ottobre 2009.
Si chiama Senzaparole, e si sviluppa come un teorema: un pornodivo, un letto e un’opera di Beckett: Atto senza parole, appunto. Tre ingredienti per dimostrare come l’universo delle relazioni del nuovo millennio sia cambiato al punto da aver bisogno al suo interno di una parola: pace.
Senzaparole è l’ultimo atto del progetto Non io nei giorni felici, che nel corso del 2009 Andrea Adriatico ha dedicato al drammaturgo irlandese, mettendo in scena le opere Giorni felici, Non io e Dondolo.
Lo spettacolo si sviluppa come un lavoro teatrale alla ricerca di un’identità del desiderio e della necessità dell’altro. Due personaggi si rincorrono in uno spazio scenico essenziale senza mai raggiungersi, alternando tempi emotivi come rette parallele verso l’infinito.
Il tutto con una dedica, quella al Bed-in di John Lennon e Yoko Ono, operando un’ennesima tralsazione di senso: laddove c’era una guerra affacciata su una società illusa da una libertà sessuale alle porte, oggi ci sono una guerra dell’anima e una pornografia che pervadono l’esistenza ponendosi come naturale affaccio del desiderio.
Lo spettacolo fa parte della serie Non io nei giorni felici. Samuel Beckett visto da Andrea Adriatico.
Su questa serie è stato scritto l’omonimo libro che contiene visioni critiche e analisi saggistiche.
Visioni critiche
In scena fanno ingresso, uno per uno, sei enormi letti neri, alti e tenebrosi, che vanno ad occupare e occludere i vari spazi mentali di una relazione amorosa. Nella dimensione dell’accadere, si celebra la sensualità della vita, e poi il suo precoce sfinimento. La morte del desiderio. La perdita, la solitudine. Il vuoto assale da dentro il corpo voluminoso di Masi, che (pur essendo alla sua prima prova d’attore) con pochi movimenti riesce a dare la fragilità, la paura, la disperazione. E la tenerezza. Storia d’amore omosessuale, detta senza parole. Storia d’amore indecente. Storia privata senza eco sociale. Storia di due uomini dimenticati. I loro corpi che si denudano vengono usati in una forma delicata, pietosa, che spegne sul nascere ogni possibilità di voyeurismo legata alla figura di Masi.
Ma allora perché un pornodivo per rappresentare il mondo di Beckett? Senzaparole (scritto come un’unica parola) è, deliberatamente, una riflessione su che cosa sia oggi pornografia. “La dedica finale al Bed in di John Lennon e Yoko Ono opera una traslazione di senso – spiega Adriatico – Laddove c’era una guerra affacciata su una società illusa da una libertà sessuale alle porte, oggi ci sono una guerra dell’anima e una pornografia che pervadono l’esistenza, ponendosi come naturale affaccio del desiderio”. Non un giudizio morale su chi la pornografia la fa per mestiere, ma una messa a nudo della componente pornografica, oscena, che muove la macchina del controllo sociale. Accanto a John Lennon, le note di Vivaldi e dei Subsonica, un montaggio sismico di brani musicali che si interrompono brutalmente per poi ciclicamente riemergere in superficie, provocando nello spettatore degli assalti di profonda nostalgia verso ciò che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo perso.
Senzaparole di Teatri di Vita si apre su una landa nera improvvisamente illuminata da sei quadrati di luce, rigorose figure geometriche disegnate perfettamente per terra. L’accendersi e lo spegnersi di questi quadrati scompone lo spazio in piccole caselle e detta il ritmo dello spettacolo come in un montaggio industriale di micro-sequenze sempre uguali a se stesse. Marco Matarazzo, languido manipolatore, stringe tra le mani il suo fischietto e controlla il corpo culturista di Carlo Masi. Il pornoattore è illuminato in frammenti di movimento (cade, si alza, fa un passo in avanti), ripetuti continuamente in tutti i quadrati e accompagnati dall’alternarsi di sette differenti tracce sonore (dai Subsonica a Vivaldi, dai Mùm a John Lennon and The Plastic Ono Band) che di volta in volta restituiscono al corpo dell’attore una differente carica erotica. In ogni cella di luce, pile di piatti di porcellana bianca raccontano di un ambiente intimo e allo stesso tempo paurosamente asettico, come un set cinematografico o fotografico in cui i corpi degli amanti si inseguono. Matarazzo diviene la caraffa d’acqua dell’opera di Beckett, Masi corpo vuoto e desiderante. Ogni fischio è un richiamo d’attenzione e una fuga, ogni piatto custodisce frammenti di desiderio, liquidi sessuali, perversioni, voglie erotiche sublimate in scambi di sguardi, di carezze fugaci, di perversi ammiccamenti e puntuali insoddisfazioni. Masi cerca l’itinerario giusto per raggiungere l’oggetto che provoca la sua attenzione, corpo che si denuda, che si spoglia e poi fugge, fino a costringere il pornoattore a uscire dalla propria casella, a sconvolgere la partita in corso su questa maniacale scacchiera. Quindi a mostrarsi totalmente nudo, sfinito e colto oscenamente in un’inespressiva dolcezza, privo di qualsiasi desiderio nei confronti della sua “caraffa dÕacqua”. Mentre materassi gonfiabili neri appaiono in ogni quadrato di luce, come in piccole stanze, ogni fischio di Matarazzo diverrà inutile. Denudato, steso di volta in volta su un letto diverso, l’attore cambierà continuamente fischietto finché non sarà consapevole della propria impotenza. Allora, al sovrapporsi delle musiche, corpi maschili, atomi di carne, riempiranno lentamente i letti di ogni quadrato per poi scomparire nel buio.
Adriatico costruisce uno spettacolo ossessivo e cervellotico che ha il sapore dell’ultimo Pasolini più che di Beckett. Nell’impianto narrativo il morboso desiderio sessuale imprigiona i corpi e li svuota restituendoli come pure carcasse di carne. “Sono passati 40 anni dal bed-in quando John Lennon e Yoko Ono dal letto della loro camera d’albergo lanciarono l’amore come idea di pace per il mondo. 40 anni dopo, ma forse anche da molto tempo prima, l’universo delle relazioni ha trasformato la camera da letto in un ring che non sa di pace” scrive il regista sul foglio di sala. Perché la scena di Senzaparole è un campo di battaglia, metafora di un’attuale, falsa e ingenua libertà sessuale che tramuta il rapporto amoroso in una lotta, il sesso in una caccia, e il corpo in un oggetto mediatico continuamente sovraesposto. La presenza maschile e ambigua di Matarazzo (che sostituisce l’attrice Rossella Dassu dando nuovi valori interpretativi allo spettacolo), congiunta alla figura/significante di Carlo Masi, sposta il piano di lettura in un orizzonte prettamente queer. Ogni movimento, ogni scivolare di corpo lascia emergere la poesia di una libertà richiusa tra saune, battuage e discoteche, racconta una continua caccia all’amore, ad un irraggiungibile istante di dolcezza; racconta di una solitudine permeata da metafore oscene, di un corpo omosessuale, palestrato, sensuale ed erotico, virilit&argave; per eccesso tramutata in oggetto del desiderio dall’industria del sesso.
Infine, riacquisendo valore universale, Senzaparole diviene il racconto di una società pervasa dalla pornografia, nelle parole di Adriatico “naturale affaccio del desiderio”. Uno spettacolo lento, ostico, “presuntuoso” e perversamente poetico.
L’associare il crudele gioco sulla volontà ad un rapporto concentrato e delimitato all’attrazione è un processo che cattura comunque efficacemente, facendone esplodere la carica e le potenzialità in un ripetitivo e a volte lento procedere goccia a goccia. L’alternarsi di luce e buio che delimita gli spazi sembra sottolineare ulteriormente la cura dei movimenti e dei dettagli. La ripetitività dei momenti che fa crescere l’intensità dell’azione è accompagnata da un’interessante scelta di musiche, che vengono poi utilizzate in un particolare epilogo: una suggestiva videoinstallazione di Roberta Bononi che riprende testi e scene dello spettacolo per fermare in un’unica immagine l’essenza del lavoro del regista.
Oltre a richiamare il pasoliniano Teorema, lo spettacolo sembra quasi un racconto morale di Rohmer: ‘in amor vince chi fugge’ e, per la protagonista femminile, ‘chi troppo vuole nulla stringe’. Ben fatto senza dubbio, belle le musiche e le luci, solo (forse) un po’ “troppo cerebrale…”.
Senzaparole si inserisce tra il gesto lento, ripetuto e solitario di Dondolo e l’attesa, l’indecifrabilità del luogo come Aspettando Godot. E’ un teatro senza parole, strutturale, non trascurabile. Nella cornice cupa e misteriosa lunghe pause a nero, tra trepidazione e suspense, si intrecciano alla musica classica e trip-hop ambient, all’immobilità delle azioni ma, soprattutto, dei silenzi. Un uomo e una donna, due personaggi che riflettono gli spazi immensi attorno o infinitamente piccoli del (loro) vissuto. Il suono del fischietto fluidifica i micro-spostamenti lungo la scena in stile polaroid, come fil rouge spinge a compiere singoli gesti, ripetuti e insoliti, alla conquista di un nuova casella. Adriatico sperimenta e vent’anni dopo si confronta ancora col drammaturgo con cui debuttò a teatro.
La gestualità diventa carnale strumento linguistico. Un set di piatti in porcellana traccia un rigoroso itinerario che obbliga Masi a seguire la Dassu, a uscire dal buio, fino a esibire un nudo integrale e vivere un momento fugace di luce. Se ci fosse una telecamera sarebbe fissa, quasi ossessiva nel suo curioso scrutare questa essenziale replica dell’azione. L’audace provocazione nel gioco coreografico, erotico e visionario, ideato da Adriatico, sorprende fino alla fine: come nudi artistici che si impressionano su tela, altre quattro figure (insieme a Masi e Dassu) vengono esibite e ostentate senza volgarità, senza azioni, senza parole.