Ridi, piangi, ti ecciti - immagine dello spettacolo teatrale

Ridi, piangi, ti ecciti

di e con Alessio Genchi e Innocenzo Capriuoli

produzione Teatri di Vita

con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero della Cultura

Debutto: Bologna, Teatri di Vita, 15 marzo 2023

Due attori in scena. Qualcosa di più di un dialogo sulla vita, qualcosa di meno di un documentario sull’esistenza. Ridi, piangi, ti ecciti è uno zapping continuo e frenetico di immagini che percorrono, anno per anno, le tappe della vita di un uomo medio contemporaneo

Attraverso l’utilizzo di vari linguaggi tra cui anche quello della slam poetry, gli autori, con ironia e poesia, giocano con il loro passato e tentano di esorcizzare il loro probabile futuro all’interno di un contesto sociale sempre più complesso.

Nasce così una concitata filastrocca per augurare a sé stessi e al pubblico una vita piena e autentica, in cui non si smetta mai di… ridere, piangere ed eccitarsi.

Alessio Genchi, diplomato alla Scuola di Teatro di Bologna Galante Garrone, ha lavorato per diverse produzioni nazionali tra cui Piccolo Teatro, Ert, Teatro Stabile di Bolzano, Globe Theatre, Inda, e con registi come Federico Tiezzi, Alessandro D’Alatri, Carmelo Rifici, Nanni Garella, Daniele Salvo. Ha inoltre collaborato con Ksenija Martinovic in Boiler Room (menzione speciale Premio Scenario) e con Senza Piume Teatro in Home Run.

Innocenzo Capriuoli è poeta, performer e attore. Studia teatro e performance presso la scuola di Farmacia Zooè e con numerosi autori e autrici della scena teatrale internazionale. Perfeziona lo studio del teatro archetipico, della metagenealogia e dei tarocchi presso la scuola Metamundo con Cristobal Jodorowsky. Crea Liberi di salvare, performance sul tema del salvataggio dei migranti in mare, con Arianna Favaretto Cortese.

Entrambi nell’ultimo anno sono stati impegnati a Teatri di Vita nello spettacolo XYZ. Dialoghi leggeri tra inutili generazioni e nel progetto Parcoscenico, diretti dal regista Andrea Adriatico.

(le foto nella galleria sono di Biancamaria Bini e Maurizio Benedettini)

Visioni critiche e social

Dopo aver rappresentato gli esseri umani come dei piccoli esseri persi come minuscoli granelli nel barattolo del cosmo, Alessio Genchi e Innocenzo Capriuoli, che proprio in questo preciso momento lo stanno rifacendo, ci hanno fatto scompisciare dalle risate e anche guardare un po’ dentro, mostrandoci le tristi e un po’ ridicole vicissitudini dell’uomo medio d’italica provenienza.
In un tourbillon di battute, spesso arrivate dall’esterno, anche in dialetto barese e di un’altra provenienza meridionale non riconosciuta, i due gemelli diversi ci hanno guidato cronologicamente nell’esistenza conformista e, diciamolo, un po’ stupida di una categoria umana, la maggioranza, che ha fatto della medietà una ragione di vita.
Siamo anche stati costretti, noi uomini, a riflettere sugli atteggiamenti ridicolizzati per verificare, con una certa apprensione, se potevano in qualche maniera appartenerci.
Ridi, piangi, ti ecciti è uno spettacolo multiforme e autoironico che permette di trascorrere un’ora di questa vasta cronologia ridendo delle nostre assurdità personali scordandosi, nel contempo, di quelle, ben più gravi, che assillano il barattolo del cosmo entro i cui confini siamo stati sbalzati nostro malgrado.

Innocenzo e Genchi. Genchi ed Innocenzo. Uno pugliese, l’altro campano. Uno ha studiato alla scuola di teatro Galante Garrone L’altro da Metamundo con Cristobal Jodorowsky. Due percorsi estremamente diversi, posti in due parti del globo diverse ma allo stesso tempo vicine: forse la puglia non è vicina alla Campania? Forse l’arte di Jodorowsky non è vicina a quella della Garrone? Entrambi minuscoli granelli nel barattolo del mondo, si sono ritrovati in Via Emilia Ponente 485, a Teatri di Vita, dove è nata una grande amicizia e collaborazione artistica. Teatri di Vita è in effetti un luogo dove stare, dove rimanere, dove incontrarsi, più che un luogo di passaggio e la giornata del 6 ottobre ne è la dimostrazione. Non soltanto per l’ottimo brunch servito ma anche per l’accoglienza, il silenzio e le chiacchiere di teatro e della domenica.

Il primo spettacolo Ridi, piangi ti ecciti, è uno zapping nella vita di un uomo medio, partendo dall’anno zero, dai gemiti ed i piagnucolii fino alla vecchiaia e morte. L’accezione “uomo medio” non sappiamo se è positiva o negativa, il Duo cerca di includere evidenti elementi della loro vita, assieme a ciò di tutto quello che pensiamo sia canonico nella vita di un uomo e nel suo percorso (scuola, università, lavoro, famiglia, pensione). È, quella di Genchi ed Innocenzo, una critica all’incapacità della scelta e all’accettazione di una vita preimpostata. È interessante la semplicità dell’impalcatura teatrale, (la scenografia è totalmente assente), ci sono degli oggetti, ma per il resto tutto si posa sulla brillantezza degli attori, che hanno un ritmo e coinvolgente in ogni momento. Sono interessanti, alcuni gesti e mantra che non cambiano mai durante tutto lo spettacolo, che presi singolarmente sono sempre gli stessi gesti ma immessi in un sistema, in un discorso diverso, cambiano totalmente di significato; e le dinamiche genitori – figli, anche quelle cambiano di significato col passare del tempo. Alla fine il vuoto incolmabile della vita passa con un po’ di leggerezza, con una risata, con l’ironia, forse come fanno gli uomini medi moderni? Lo spettacolo segna e conta il tempo, sono piccole tacche segnate con una chiave su un muro, segni a matita sul bordo della porta, bilanci di vita e buoni proposti per l’anno nuovo. È come dice il titolo: un mischione di emozioni amalgamate, un drink che una volta bevuto ti fa ridere, piangere ed eccitare, non necessariamente in quest’ordine e soprattutto, non necessariamente tutto assieme.

Tre verbi a riassumere la vita: “Ridi, piangi, ti ecciti” (ieri sera al TaG di Granarolo, dopo il sicuro rodaggio ai Teatri di Vita) .
Senz’altro Innocenzo Capriuoli e Alessio Genchi ridono e si divertono in questo bi-logo da stand up comedians, in cui mescolano stili e linguaggi per descrivere in senso cronologico (direi “annalistico”, come gli antichi Romani…) usi e “costumi” dell’esistenza umana. Dell’esistenza al maschile però, con il suo timore del tempo che scorre, tanto da riuscire quasi una sorta di contraltare alla “Miserella” che ha da poco lasciato il palco dell’Argine.
Capriuoli e Genchi parlano, ballano, salgono e scendono dal palcoscenico intrattenendo il pubblico, ricorrendo alle pratiche cabarettistiche, ma anche costruendo uno spettacolo che vuole essere attento alle parole, alla scrittura. Che questa sia in lingua corrente o dialettale, è senz’altro un punto di forza: specie quando assume i ritmi e le rime di barre da rapper, o quando viene recitata all’unisono con i giusti tempi dai due protagonisti.
Altra cosa è il coinvolgimento sornione degli spettatori, le interviste troppo prolungate, certe insistenze mimiche a richiamare la risata. Qui si poteva probabilmente limare qualche minuto di una proposta che sarebbe comunque risultata efficace.
Quello che ci viene rappresentato è il quadro di una vita sempre in attesa di qualcosa o di qualcuno, che nella sua versione perfetta mai arriverà. Una vita che aspetta e che aspira ad un dì di festa… ma lo fa stando seduta sul divano.
Buoni applausi a chi avrà occasione di vederlo prossimamente.

Ridi, piangi, ti ecciti: la vita anno per anno

Vista cinicamente la vita non è che un ammasso di tempo al quale, per convenzioni sociali, diamo delle scadenze, degli step, degli scarti, per ammorbidire meglio questo gioco dell’Oca nel quale prima abbiamo fretta di bruciare le tappe e poi vorremmo che gli anni, i mesi, le ore e i minuti si fermassero, si cristallizzassero in una impossibile eternità. Titolo quasi ungarettiano quello di Alessio Genchi e Innocenzo Capriuoli che con quattro parole folgorano l’esistenza, riducendola a poche azioni che poi, in definitiva, sono quelle che danno senso al tutto: la risata come i giorni felici (non beckettiani), le lacrime come i piccoli e grandi traumi che la vita ci pone davanti e che ci ricordiamo come scoglio, come ostacolo ma anche come rinascita, l’eccitazione che è il motore e il fuoco del piacere, del sesso, della scoperta di sé e dell’altro, le relazioni umane, gli scambi di umori che ci fanno sobbalzare il cuore, che ci fanno penare e sentire al settimo cielo come sprofondare sotto la Fossa delle Marianne. Ecco la fotografia, Ridi, Piangi, Ti ecciti (prod. Teatri di Vita; visto al Teatro Goldoni di Firenze), come a dire: Sta tutto qua? Sì, al netto di yoga, karma, reincarnazioni, religioni e soprattutto di quello che potrebbe esserci in una possibile, eventuale vita nell’Aldilà, sì, sta tutto qua questi ottant’anni (se va tutto bene tra incidenti di percorso e malattie) che a volte sembrano non passare mai e in altri momenti sfuggono dalle dita lasciandoci l’amaro in bocca per quello che non abbiamo fatto e per quello che non abbiamo detto. Ormai gli anni sulla nostra carta d’identità li misuriamo con le cose che abbiamo fatto: le relazioni, lo stipendio, il lavoro, i fidanzati, i viaggi, come se un accumulo più grande e più corposo, paragonandolo rispetto agli altri nostri simili e vicini, identificasse una vita più piena e vissuta meglio. E’ la foga del consumismo che tutto vuole mordere ma che non ha tempo di assaporare, è lo shock e la ferita dell’esperienza che ci porta a fare cose in serie per non pensare alle cose veramente serie. Dopotutto anche Calvino diceva che la vita degli uomini era quella storia di sangue e corpi nudi.

Questo RPTE ci ha ricordato da una parte un Benjamin Button al contrario, ovvero progressivo, dall’altro Storia di un corpo di Daniel Pennac con la scansione, condivisibile e plausibile, dello scorrere inesorabile, foscoliano, delle rughe, della crescita come del deperimento, e ad ogni sosta e fermata di questa Via Crucis un accadimento che cambia le prospettive, che fa mutare la direzione, fa prendere nuove strade. Come a Monopoly gli imprevisti e le opportunità. Ed ogni possibilità sul momento ci sembra un avanzamento, un miglioramento perché nel nostro sistema capitalistico lo stare fermi è già una sconfitta mentre ogni piccola rivoluzione per noi è fonte di una stucchevole, banale, frivola esaltazione perché pensiamo sempre che si apriranno chissà quali portoni, illudendoci, esorcizzando così la paura dello stallo. Che se non siamo presi dal fare mille azioni, se non ci sentiamo nel vortice allora ci resta troppo tempo libero per noi stessi che dovremmo dedicare non alle cose da fare ma alle domande a cui pensare. Molto meglio avere piccoli, grandi obbiettivi (spesso imposti socialmente e nei quali non crediamo ma che perpetriamo con poca convinzione), piccole vittorie, che una volta ottenute si sgonfiano di senso, grandi fallimenti che ci ingrigiscono, ci rattristano, ci deludono. Anche le disfatte e le sconfitte fanno parte di questa catena di montaggio perché ogni tanto l’uomo moderno contemporaneo occidentale ha il disperato bisogno di cadere, di toccare il fondo: è il suo modo per voltare pagina e riemergere, nutrirsi di nuove energie chiudendo vecchi capitoli e chiamando il tutto rinascita. L’uomo per sentirsi nuovo ha la necessità di chiudere parentesi con la nuova allucinazione e abbaglio che domani sarà tutto diverso, che sarà tutto migliore. La vita è una cosa spiacevole e io mi sono proposto di passare la mia a rifletterci sopra, filosofeggiava Schopenhauer.
Genchi e Capriuoli, con una recitazione frontale e sfrontata (ci hanno ricordato Gli Omini come i Sotterraneo, ma anche tanti altri giovani gruppi di qualche stagione fa), hanno energia da vendere, carisma, forza, freschezza e cazzimma, oltre a una grande amalgama, unione, chimica ed empatia, pronti sul palco a non perdere il ritmo e il rap, base fondamentale di questo spettacolo, agili in platea a confrontarsi con il pubblico, tenerlo, lasciandosi trasportare con ironia e tenacia. Mentre gli anni scorrono, cadenzati, è impossibile non ritrovarsi nelle loro parole, non immedesimarci nelle nostre tenerezze, nei nostri errori, nelle nostre stupide credenze perché a vent’anni pensiamo di aver capito il mondo e a trenta ci accorgiamo di come eravamo ingenui dieci anni prima, e a quaranta sorridiamo dei nostri trenta e a cinquanta ci diciamo che dieci anni prima potevamo vivercela con più tranquillità, e a sessanta che il meglio forse è già passato e a settanta che tutto era o poteva essere vissuto in maniera più semplice e facile. La distinzione è vedere il naufragio dalla riva, di leopardiana memoria, o stare con la propria zattera al centro nell’occhio dell’uragano. Quando dopo, a posteriori, sai che ce l’hai fatta, che l’hai scampata, anche le esperienze più brutte diventano motivo di orgoglio e felicità proprio perché passate, affrontate e vinte, quando invece le stai vivendo, o peggio subendo, non hai la percezione che quel drammatico e tremendo e tragico attimo possa mai finire e concludersi. Ridi, piangi, ti ecciti è un gioiellino scenico scoppiettante e una bussola e caleidoscopio che ci indica, in modo realistico e nazional-popolare, dove stiamo andando, che cosa abbiamo vissuto e che, soprattutto, non siamo quegli esseri speciali e unici che abbiamo creduto di essere guardandoci allo specchio, ma che facciamo, tutti, chi prima chi poi, le stesse cose con le stesse modalità, dal lavoro ai figli, dal matrimonio al divorzio, pensando pure di essere originali. Purtroppo siamo piatti e monotoni e la vita è un soffio e un respiro che vola via e gli anni saranno sempre pochi. Il trucco sta nel non contarli ma di cercare di stare bene nella complicata guerriglia di ogni giorno. Il nostro nemico più grande è la noia non la morte. Il punto non è il verbo avere ma il verbo essere. Vivi ora ciò che altri sognano di vivere nel futuro, scriveva Paulo Coelho.