Le serve di Goldoni
di Alessandro Fullin
uno spettacolo di Andrea Adriatico per Teatri di Vita
con Alessandro Fullin, Emanuela Grimalda, Filippo Pagotto
e con l’apparizione di Eva Robin’s
cura e aiuto Daniela Cotti
produzione Monica Nicoli
in produzione Maria Concetta Mercuri, Valeriano Pesante
scene e costumi Maurizio Bovi, Andrea Cinelli
con l’assistenza di Eros Paradisi
oggetti di scena Pentole Ballarini, Freak Andò
suono Alessandro Saviozzi
luci Matteo Nanni
macchine Davide Di Pede
ufficio stampa Giampiero Leoni
sartoria Isabella Sensini
grafica Kitchen
fotografia film Raffaella Cavalieri per Cinemare
una produzione Teatri di Vita-La Biennale Teatro
con il contributo di Comune di Bologna – Settore Cultura, Regione Emilia Romagna – Settore Cultura, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
grazie al sole e ai girasoli umbri, e grazie di cuore a emanuela agostini, francesca ballico, arcangela gabriella, fabio umani, mongolfiera management. a f
Si ringraziano Ballarini spa e Freak Andò
debutto: Biennale di Venezia, 23 luglio 2007
Alla Biennale Teatro di Venezia 2007, interamente dedicata a Goldoni e il teatro nuovo, debutta in prima assolta Le serve di Goldoni, un testo di Alessandro Fullin scritto alla maniera di Carlo Goldoni, diretto da Andrea Adriatico e interpretato da un imprevedibile cocktail di attori: lo stesso Fullin, Emanuela Grimalda, Filippo Pagotto e con l’apparizione di Eva Robin’s.
Personaggi chiave della storia sono le serve immaginifiche di casa Goldoni, vale a dire quelle figure che sono state in grado di accompagnare la vita di un autore così determinante per la cultura universale sbirciando dalle cucine ogni sua mossa. Ma cosa potranno mai raccontare le serve di casa Goldoni dell’abile maestro? Cosa mai vedranno dal loro angolo di osservazione privilegiato?
Grazie alla penna surreale di Alessandro Fullin e alle trovate sceniche di Andrea Adriatico, ecco sbirciata dalle cucine la vita di Goldoni: il suo viaggiare tra Venezia e la Francia, il suo creare storie tra la laguna e Versailles, i suoi incontri con regine e popolane, diventano parti di una trama da raccontare in una girandola umoristica e camp.
La direzione di Andrea Adriatico incanala l’imagerie comica di Alessandro Fullin (e l’apparizione misteriosa di Eva Robin’s) nell’alveo di una raffinata sperimentazione che unisce teatro e cinema.
Andrea Adriatico e Alessandro Fullin tornano insieme dopo quattro anni, quando furono riuniti da un’altra gloria nazionale, Gabriele d’Annunzio, rinato a comica vita con L’auto dei comizi; mentre con Eva Robin’s Adriatico aveva realizzato più recentemente l’irresistibile incursione nel mondo di Copi con Il frigo.
Visioni critiche
Le molte allusioni al presente, come un’adirata telefonata dell’ultimo Giorgio Strehler, che sentiamo bisticciare sui diritti d’autore di Goldoni per una sua commedia, o una battuta su Amanda Lear nel bel mezzo di un riferimento alle celebrità femminili del diciottesimo secolo, fanno entrare in rotta di collisione presente e passato, sottolineando la nostra costante preoccupazione con lo status delle celebrità. Ulteriori digressioni sulla politica odierna intrecciate con commenti sulla Rivoluzione Francese, introducono una più mordente vena satirica. Mentre le quattro serve – due donne e due uomini travestiti (tra cui Fullin) – vivono in simbiosi con Goldoni, i cui alti e bassi loro vivono indirettamente e appassionatamente, ciascuna di loro ha occasione di rivelare il suo sé più privato. La lavatrice magicamente si trasforma in una sorta di tribunale, e ciascuna ci sale sopra per una confessione-monologo sulle loro segrete aspirazioni e frustrazioni. Di tanto in tanto il pannello ruota di fronte al pubblico, formando uno schermo dove sono proiettate sequenze filmate. Una di queste presenta un viaggio in mongolfiera, con le serve sulla strada per Parigi dove Goldoni iniziò una nuova carriera di mezza vita. Osserviamo col fiato sospeso come questo gruppo squinternato faccia un decollo da far rizzare i capelli, prima di arrivare ad atterrare nella cucina parigina di Goldoni, dove ci viene offerto un barlume della loro esperienza durante la Rivoluzione.
Il regista Andrea Adriatico di Teatri di Vita di Bologna, meglio conosciuto per le sue produzioni di Pasolini e Koltès, mostra come abbia uguale talento nella direzione di una commedia. I quattro attori, Eva Robin’s, Emanuela Grimalda, Filippo Pagotto e lo stesso Fullin – gli ultimi due portano un brillante tocco camp nell’intera faccenda – rivelano dei maestri nei tempi comici, producendo momenti di commedia spassosa con sporadiche venature dark.
Gli spazi svelati dalla struttura girevole sono ora la cucina di casa Goldoni, ora il salone della sua dimora in Francia, ora la platea di un teatro parigino dove le serve assistono ad una rappresentazione noiosa e mortifera. L’impianto dello spettacolo è fortemente metateatrale. Basti pensare che due delle serve sono interpretate da attori en travesti (l’esilarante Fullin e il barbutissimo Filippo Pagatto) affiancati da una quarta servetta muta di nome Adama, interpretata da Eva Robin’s. Le “ciacole” delle serve cono caratterizzate da una comicità dirompente, dissacratoria ma mai volgare. Spettegolano sulle amanti del padrone, si confidano le loro avventure amorose (palesemente inventate), riportano le scene isteriche di una famosa prima attrice che si era messa in testa di recitare parti drammatiche, recitano loro stesse la scena clou di un drammone ridicolo, immaginano di vivere alla grande nella Parigi alla moda delle loro fantasie e, infine, lamentano le tribolazioni del padrone in terra straniera. Insomma, le serve vivono di luce riflessa, si appropriano come sanguisughe delle avventure del padrone per darsi un senso. Nonostante gli eccessi di comicità, lo spettacolo si vena di malinconia anche perché gli attori-personaggi lasciano intendere al pubblico la drammatica ambiguità della loro esistenza: “Non sono un uomo, non sono una donna: sono soltanto una maschera” sospira una delle servette, alludendo con discrezione alla problematicitˆ dell’identità omosessuale che viene avvicinata a quella dell’attore il quale si realizza immaginando di essere o, addirittura, diventando un altro.
La regia di Adriatico scoppietta di idee e di soluzioni sceniche di grande efficacia e garantisce alla azione drammatica un ritmo mozzafiato. La natura episodica della pièce è messa in evidenza da una sorta di montaggio cinematografico delle scene in cui veri e propri filmati vengono proiettati sul paravento a mo’ di dissolvenza. La vivacità e l’energia degli attori, la loro gestualità aggraziata e la loro raffinata ironia aggiungono brio e leggerezza alla pièce.
Ed eccole, dunque, le coraggiose del nuovo teatro: Le serve di Goldoni di Adriatico-Fullin, nuovamente in coppia dopo aver dissacrato il macho D’Annunzio nella pièce L’auto dei comizi (2003). Sbarcato il 23 luglio a Venezia, al Festival più italiano-italiano che ci sia, la Biennale Teatro diretta dal potente e furbo Maurizio Scaparro, lo spettacolo gioca in allegria e ironia, quindi più seriamente di altri seriosi sepolcri imbiancati à la page, sulla vita e le opere del commediografo veneziano. Il testo originale di Fullin, che ha insieme la sua forza e la sua debolezza nella naturale derivazione cabarettisco-televisiva, incline cioè alla gag veloce e ‘disimpegnata’, è un canovaccio di lazzi e frizzi da commedia dell’arte. Eppure, più che goldonianamente riformato, dal corpo a corpo con la tradizione il testo si impone come modernamente contaminato: dalla cultura mass-mediale, dall’instabilità delle coordinate spazio-temporali, dalla confusione di genere, dalla lieve e malinconica gayezza, dalla solitudine delle maschere – non personaggi definiti ma appunto figure retoriche, e di un nuovo conio – sempre affamate d’amore.
Ircana, Germana, Adama e Anselma sono le quattro fantasmagoriche serve di messer Goldoni, impegnate a far emergere, del commediografo veneziano, un’idea del suo teatro e del suo tempo, così simile al nostro presente per una certa pruderie sessuale, per la fascinazione dell’esotico e dell’altrove (le smanie per la villeggiatura, e quelle per l’avventura, per la fuga: a Parigi, nel gioco d’azzardo, nelle sedute spiritiche, verso le luci di una ribalta sempre preclusa ma ambita dal basso e orizzontale popolino). Il regista, poi, rendendo omaggio al miglior Strehler nella prevalenza del bianco delle luci, della scena e dei costumi, non manca di portare avanti il suo discorso sul pubblico e sull’uso drammaturgico dello spazio scenico, optando per una struttura claustrofobica per gli attori (un “grande barattolo”, un “quinto attore” per dirla con Fullin), con la quale essi si relazionano in maniera dinamica e quindi conflittuale. E il discorso metateatrale di Adriatico prosegue, in filigrana, ironizzando su certa ricerca teatrale afona e sterile, ma anche (gustosamente) su se stesso e infine riproponendo un modello di integrazione teatro-cinema che, se nel Ritorno al deserto (2007) godeva di perfezione formale e coerenza drammaturgica, qui appare – nei coloratissimi inserti video – un po’ forzata e posticcia. Molto abile si riconferma invece nelle invenzioni sceniche, prima fra tutte l’introduzione della ‘quarta’ serva, una favolosa Eva Robin’s muta, come dire ancora e sempre ‘diversa’, una ‘cosa’ informe, come l’apostrofa un’Ircana-Fullin a sua volta irresistibile nel proprio stile ‘son qua a recitar per sbaglio’. Bene anche la donna-donna Emanuela Grimalda e il giovane Filippo Pagotto, serva baffuta e pelosa ma senza cedimenti all’effeminatezza.
Dal palcoscenico escono molto bene i protagonisti, le quattro serve: oltre allo stesso Fullin, la straripante Emanuela Grimalda, un lezioso Filippo Pagotto e la guest star Eva Robin’s che, senza parlare (il suo personaggio è muto), mostra una efficace capacità espressiva. E sono davvero quattro donnine scatenate, che tra un bucato in lavatrice e lo spignattare sui fornelli (a gas) si danno al pettegolezzo sulle avventure di paròn Goldoni, confessano avventure focose di gioventù (con Casanova e fin con De Sade), vagheggiano la villeggiatura e stravedono per la corte di Francia, dove accompagneranno il commediografo.
La mano di Adriatico si vede invece in alcune scelte visive (il mix con i video divertenti proiettati sul cilindro bianco) e nella propoensione alla provocazione (pur sempre prevedibile), ma concede ben poco alla sperimentazione.