Le quattro gemelle
di Copi
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con Francesca Ballico, Rossella Dassu, Francesca Mazza, Carlotta Miti
produzione Teatri di Vita
Nuova edizione di Le quattro gemelle, contenuto in 6. (2001).
Quattro gemelle in cerca di diamanti in una sperduta capanna dell’Alaska: una commedia fuori di testa, piena di sotterfugi, omicidi e… risate…
Un perfetto congegno a orologeria, un carillon grottesco per far danzare insieme la morte, la violenza, l’avidità rapace del potere e del denaro, senza dimenticare la droga. Un mix davvero stupefacente quello della commedia Le quattro gemelle, scritta da Copi nel 1973. Un noir delirante, una corsa a perdifiato verso il non senso, un caleidoscopio di trovate e risate moltiplicato per quattro: Maria, Leila, Josephine e Fougère, quattro sedicenti gemelle, alleate e nemiche, invasate e remissive.
Andrea Adriatico torna a giocare con le quattro scatenate gemelle di Copi a cinque anni dal rebus numerico dello spettacolo 6. presentato a Teatri di Vita. Interpreti dell’esilarante vaudeville noir di Copi sono quattro eccezionali attrici: Francesca Ballico, che è stata l’emozionante Donna nella recente messinscena di Orgia di Pasolini; Rossella Dassu, anche lei in scena in Orgia nei panni della Ragazza; Francesca Mazza, protagonista delle più importanti opere di Leo de Berardinis, e vincitrice del Premio Ubu 2005 per il suo lavoro con Fanny & Alexander; e Carlotta Miti, volto televisivo che ha attraversato fiction come Un posto al sole e Incantesimo.
Un poker di attrici diverse tra loro, trasformate in affiatate “gemelle”, e lanciate nei perfidi sotterfugi di una trama mozzafiato: fughe, rapine, banche, diamanti, droga, e poi rivoltelle, rivoltelle che sparano in continuazione causando improbabili morti. E più si guardano queste quattro pazze perse nei loro frenetici deliri e più ci si chiede dove vada a finire questo crescendo grottesco, quasi infantile, di gag e trovate.
Visioni critiche
E’ uno spreco – perciò – la geniale, ironica, enigmatica messinscena di Adriatico, che veste le quattro donne con gli stessi leggeri vestiti a fiori e le stesse scarpe col tacco, solo distinguendo le due coppie per il colore degli abiti, e costringe l’azione entro un ridotto pavimento di specchi confinato sulla destra della scena vasta e aperta, mentre, sulla sinistra, un eguale quadrato, ma con pavimento di sabbia sul modello dei giardini zen, resta intonso.
Le attrici sono scatenate, divertite, brave a “far gruppo” e somigliarsi conservando però individualitˆ ben definite e così salvando ciascun personaggio dalla tortura dello smembramento cui lo sottopone Copi. La “gemella” di Francesca Mazza è una donna imponente e incontrollata, mentre Ballico sfoggia un abbandono che è tra le cose migliori dell’intero spettacolo; l’altra puntuta coppia gemellare è formata da Rossella Dassu e Carlotta Miti. Le qualità di questa messinscena salvano la serata, ma non riescono a mettere nel testo quei contenuti drammatici che, se abbondano in altre opere di Copi, qui restano latitanti, lasciandoci freddi, sulle poltrone del teatro, come davanti a uno scherzo preso troppo sul serio.
Il teatro di Copi si compone in schegge di immaginari post-moderni ma votati al mondo colorato del camp, del travestitismo e di un grottesco cartoonistico in odore di pulp, piuttosto che al post-mondo desolante di certo Beckett o alle derive cyberpunk di tanti contemporanei. Sembra sfiorare il Genet di Splendid’s nel costruire questo ring su specchio per quattro gemelle (due coppie) impegnate in un turbine di rovesciamenti: se nella pièce di Genet era l’estrema danza macabra di una banda di criminali braccati in una stanza d’albergo, in Le quattro gemelle si svolge tutto su quello specchio steso in terra, lì la guerra, lì le tregue e i tradimenti adombrati che si susseguono scivolando facili l’uno nell’altro, facili come coca in bustina, come i millilitri sonorizzati dell’ero che galoppa, è il caso di dirlo, verso i centri nevralgici del sè. Per cercare conforto, energia, serenità, pace, qui ci si fa. Di continuo. Qualsiasi sia l’esigenza, sembra non essere data che una risposta: il delirio narcotico, la serie di decessi a domino che sembra mimare i fugaci orgasmi volatili di una mente tossica persa nei paradisi-inferni artificiali.
Siamo in Alaska, scopriamo: quattro gemelle sono lì in cerca di diamanti… ma di passaggio, forse scapperanno presto e abbandoneranno la villa nella quale si trovano, forse si seprareranno, ammazzandosi l’un l’altra nella spartizione della grana: forse già è deciso che moriranno tutte. Due sono padrone, due serve: Maria, Leila, Josephine e Fougère sono le ossa di questo corpo folle, la carne di questo menage che si dipana a partire proprio dalla volontà di lasciare. Ci si siede a teatro e subito ci si affaccia su uno stato precario, su un adesso che prende rovinosamente a scivolare in una grottesca spirale noir che puzza soltanto di realtà quando si concede il disegno dei tragitti personali di queste cariche tragicomiche che dal primo all’ultimo momento dello spettacolo non faranno altro che spararsi alle spalle e iniettarsi a vicenda sostanze disparate: sei molto agitata, straparli, hai preso troppa cocaina. Hai proprio bisogno di una siringata di morfina. Siamo decisamente dall’altra parte dell’orlo di una crisi di nervi…
E tra fugaci cecità e paralisi, tra spari, suoni campionati e movenze da cinema d’animazione, morti apparenti e apparenti sodalizi dalle gambe corte, l’imbuto stringe sempre di più verso un’epilogo possibile, un crampo, un salto nel vuoto per questo congegno iniettato nelle vene del teatro.