L’auto delle spose
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con Maurizio Rinaldelli Uncinetti, Elena Souchilina, Anatoli Zaitsev, Dalia Zipoli (sostituzioni: Isabella Carloni, Carlotta Miti)
musiche di Vinicio Capossela, Lauryn Hill, Trio Esquina, Radiohead, K.D. Lang
assistenti di produzione Monica Nicoli, Daniela Cotti, Elena Fonda
sponsorizzazioni tecniche: Confetti Pelino, Cucinart Club, Cantina Gaggioli, Parrucchieri I Monari, Concessionaria Alfa Romeo Autorallye
produzione Teatri di Vita
in collaborazione con La Fonderie, Le Mans
anteprima 15 aprile 2000
prima nazionale 7 dicembre 2000
Primo episodio della serie
La storia ci racconta di lunghe automobili con nastri e fiori, matrimoni da fotografie patinate e abiti bianchi inamidati, banchetti sontuosi e cerimonieri in divisa. Dentro L’auto delle spose scorre un altro matrimonio: sono nozze tra individui colti come in un’istantanea sulle soglie della loro linea d’ombra; abitanti di questi enormi bastimenti contemporanei che sono le automobili.
Il matrimonio in questione è quello che ogni giorno si prova a celebrare tra l’alba e il tramonto, tra la vita e la morte, tra la solitudine e la comunicazione. Sulle note di un tango argentino, in una dimensione sospesa tra la vetrina di un negozio da haute couture e l’atmosfera di un possibile campo nomadi la nostra auto delle spose diventa lo scenario contenitore di una serie infinita di matrimoni dove gli spettatori sono chiamati, a bordo delle loro auto, a fare da testimoni e a partecipare alla festa di un congiungimento impossibile.
L’auto delle spose è il palcoscenico di un luna park, è una sequenza vitale possibile proiettata a velocità raddoppiata rispetto al reale, come i tempi dei ricordi, più veloci di quelli della vita. E gli spettatori perdono il loro statuto, diventano ospiti e comparse di uno spettacolo che qualcun altro, chissà, starà guardando attraverso le pareti del teatro. Già, perché è forse in questa ideale continuità scenografica tra l’automobile abitata dagli attori, una Alfa 166, e quelle abitate dal pubblico che si consuma la vertigine del dialogo teatrale.
Per partecipare occorre avere a disposizione un’automobile, propria o di amici o di qualcuno a cui si sia chiesto un passaggio da autostoppisti. All’Auto delle spose sono ammesse solo vetture.
Visioni critiche
Un’unica sposa si unisce in matrimonio con un marito presto abbandonato per il fotografo-autista che, nel momento in cui celebra il proprio matrimonio con la sposa fedifraga, viene a sua volta lasciato per un altro fotografo, questa volta donna. Da qui la motivazione del titolo e la conclusione dello spettacolo che, a parte un finale a sorpresa di cui non vi anticipo nulla, pecca di dejà-vu, con un forte riferimento a Thelma e Louise con tanto di istantanea in macchina.
A parte questo piccolo neo, lo spettacolo è stimolante e originale. La colonna sonora è ipnotica e puntuale, sottolineando i silenzi e creando una partitura di significati che assume la stessa importanza delle immagini.
Quadri viventi, esasperati, enfatizzati da gesti quotidiani spostati in un universo surreale. A tratti sembra di assistere ad un happening, spaesati e affascinati da una recitazione fatta di una partitura fisica vicina alla danza.
Splendido il tango tra la moglie e il primo marito. Un’illusione di ricongiungimento, dopo un tradimento consumato sotto gli occhi del giovane esterrefatto. Tango che è una sorta di lotta erotica, i due ballerini avvinghiati in un bacio disperato.
Sicuramente lo spunto più originale, a parte la scelta di un pubblico automunito, è il complesso luci. Niente fari, niente gelatine colorate, solo le luci di cortesia della vettura, i suoi fanali e, a volte, una torcia elettrica, puntata dal fotografo di turno in maniera da disegnare un gioco di ombre sul volto degli attori e sulle pareti del teatro davvero magico. Le scene d’amore nella vettura risultano così distanti ed eteree, grazie alla luce fioca dell’abitacolo, magistralmente oscurata o liberata dai movimenti degli interpreti.
Dal buio spunterà, dopo tanghi struggenti e sensuali, dopo abbandoni, un’altra lei, dal baule della macchina, e un lui, il primo marito, sarà rinchiuso nel cofano, e inizierà a battere. Poi di nuovo il triangolo mette in moto le sue dinamiche, di nuovo uno finisce nel baule. Ma questa volta è l’altro lui, e rimangono, a cercarsi, danzare, abbracciarsi, baciarsi, due lei, Thelma e Louise, o le protagoniste di Baise-moi, o quelle di una famosa pubblicità, o semplicemente due donne. L’automobile è maschera e schermo dove viene nascosta e ingrandita la passione, il fuoco che cova dentro. E’ alcova e luogo d’incubazione di desideri, di ricerche, di scambi.
La ciclicità, ancora una volta sadiana, con cui è costruito questo meccanismo, impone allo spettatore un sussulto ulteriore, quasi a svelare la componente trasversale di un lavoro stratificato, la sua anima inquieta. Tutta la durata dell’azione è segnata da un rumore sordo e fastidioso di pugni contro la lamiera dell’auto. Solo a spettacolo inoltrato, il cofano posteriore svela l’enigma acustico, rivelandosi come straordinaria zona di presenza e occultamento, scoprendo l’esistenza di un’attrice pronta a ricaricare dal principio il dispositivo teatrale. Una evocazione di soffocamento e angoscia che permea con aria sinistra lo svolgimento dell’azione, fissando la narrazione su quel senso di morbosità annunciato dall’entrata in auto nello spazio scenico, e che neanche la retorica celebrazione finale del matrimonio delle due coppie coinvolte – a cui partecipa attivamente il pubblico dopo il rituale lancio benaugurale di riso, con tanto di torta nuziale (vera) e brindisi con gli attori – riesce a fare scomparire.