La maschia
di Claire Dowie
versione italiana di Stefano Casi
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con
Olga Durano
Patrizia Bernardi
Alexandra Florentina Florea
scene e costumi di Giovanni Santecchia
cura organizzativa di Saverio Peschechera
una produzione Teatri di Vita
con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
Anteprima: Bologna, Teatri di Vita, festival “Cuore d’Inghilterra”, 1 agosto 2018
Una mattina la signora H si sveglia e scopre che sta diventando… un uomo! La Metamorfosi di Kafka ritorna nella nostra epoca, e si infila tra i confini sempre più incerti dell’identità di genere, trasformandosi da incubo claustrofobico a irresistibile commedia, che mette in rotta di collisione il maschile e il femminile; o meglio, che racconta con occhi femminili la psiche e il corpo maschili trasformati in qualcosa che ha a che fare più con uno scarafaggio che non con un macho.
Andrea Adriatico gioca ancora sul filo dell’identità di genere dopo le incursioni su Copi, confrontandosi con l’opera di Claire Dowie, una delle protagoniste della stand-up comedy inglese. A incarnare la signora H è Olga Durano, signora della scena, con Franco Parenti e Leo de Berardinis, ma anche travolgente attrice comica con il Gran Pavese Varietà e in storici varietà televisivi come “Drive In” e “La TV delle ragazze”, prima di essere diretta da Adriatico in numerosi spettacoli, da “L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi” di Copi a “Quai Ouest” di Bernard-Marie Koltès, da “Jackie e le altre” e “Un pezzo per Sport” di Elfriede Jelinek a “Is,Is Oil” da Pier Paolo Pasolini e “Chiedi chi era Francesco” di Grazia Verasani. Patrizia Bernardi è stata con Andrea Adriatico tra i fondatori della compagnia :riflessi e di Teatri di Vita, dove ha lavorato in numerosi spettacoli (tra cui, recentemente, “Is,Is Oil” e “Un pezzo per Sport”); attualmente con l’associazione Animammersa è tra i protagonisti della rinascita culturale de L’Aquila. Alexandra Florentina Florea, cantante e attrice lavora con i Cantieri Meticci; con il gruppo Shebbab Met Project ha vinto il Premio Scenario per Ustica 2017 con lo spettacolo “I Veryferici”.
Visioni Critiche
“La Maschia”, “Run” e il “Cuore d’Inghilterra”: quando l’arte edifica ponti
(…) Non manca all’interno di questo Cuore d’Inghilterra, un contributo spettacolare nostrano, ad opera del regista Andrea Adriatico, che si rifà per l’occasione al genere della Stand-up comedy e che, riprendendo un testo della britannica Claire Dowie, tradotto appositamente da Stefano Casi, mette in scena con La Maschia una dinamica di confronto-scontro con la società, di tipo differente e in linea con la propria poetica fortemente impregnata di una riflessione LGBT (si pensi a Delirio di una Trans populista ispirato a L’Addio. La giornata di delirio di un leader populista di Elfriede Jelinek, o a L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi di Copi, solo per citare qualche titolo di una teatrografia in cui i temi del genere e dell’omosessualità, più o meno centrali, sono molto presenti).
Qui, la protagonista Helen, interpretata da una carismatica Olga Durano, un po’ come accade al Gregor Samsa delle Metamorfosi di Kafka a cui il testo fa palesemente riferimento, si sveglia e si scopre diversa. È in atto un cambiamento fisico progressivo che, a differenza dell’insetto dell’autore della Lettera al padre, non la costringe certo all’invisibilità o all’emarginazione: “Io non sono invisibile, perché non sono uno scarafaggio – affermerà l’attrice nella battuta conclusiva – Io sono un uomo”.
Il mondo esterno, rappresentato per lo più dalle figure dell’amica (Patrizia Bernardi) e della donna delle pulizie (Alexandra Florentina Florea), dapprima temuto e poi affrontato coraggiosamente, sembra voler prima “rimetterla a posto”, per poi, in qualche modo, accettarla e persino reclamarla in un improbabile momento finale nel quale tre eleganti uomini adusi a bere the, rivelano alla maschia di essere la prescelta per redimere il mondo: anche per un compito del genere sembra esserci un gender adatto.
Il racconto è leggero, la scenografia semplice ed efficace, consistendo in una piattaforma girevole da cui emergono di volta in volta lati diversi della casetta della protagonista.
Come nella consueta prassi della Stand-up comedy, quest’ultima abbatte la quarta parete, rivolgendosi continuamente al pubblico, quasi per confidarsi nel descrivere il proprio processo di trasformazione. I momenti di nudità dell’attrice e i gesti del quotidiano che riproduce, rafforzano il senso di vicinanza del personaggio che si mostra in tutta la sua intimità.
Contribuiscono al tono leggero della narrazione i tratti stereotipati e le espressioni caricaturali dei personaggi e attraverso questo mondo che muove fra l’assurdo e il farsesco si fa ironia sui pregiudizi di genere.
Stride forse la collocazione esterna dello spettacolo, fra lo sfondo visivo degli alberi del parco dei Pini, gli insetti attratti dai fari frontali e il sottofondo naturale di uccelli e cavallette. Forse un po’ poetico per un testo bizzarro, ritmato, spumeggiante.
Prezioso in quest’ultimo spettacolo come nelle altre iniziative di Cuore d’Inghilterra il continuo gioco di intertestualità e rimandi a culture altre. Ossigeno puro la ricerca di universalità e avvicinamento che costituisce il proprium delle proposte del Festival.
È rincuorante, in un periodo storico in cui si invoca tristemente alla chiusura di porti, osservare come l’arte continui a edificare ponti.
LA MASCHIA: Capolavoro di Olga Durano
Una mattina una donna si sveglia e si rende conto che sta diventando un uomo. Ispirandosi all’emblematica “Metamorfosi” di Kafka, Claire Dowie, autrice di “H to He (I’m turning into a man)”, affronta la questione scottante dell’identità di genere in un pezzo scioccante. La compagnia “Teatri di Vita” di Bologna, Italia, ha presentato questo pezzo al nuovissimo “Dynamo Teatro”, dal titolo “La Maschia”, tradotto da Stefano Casi e interpretato da Olga Durano, Patrizia Bernardi e Saverio Peschechera, regia di Andrea Adriatico. L’interpretazione di Olga Durano è antologica, un “capolavoro”, da ovunque lo si guardi. Il suo personaggio – la signora H – rompe il quarto muro dall’inizio e condivide con il pubblico la trasformazione che sta subendo, passo dopo passo. Descrive in dettaglio come la sua voce diventa più roca, le sue mani e i suoi piedi crescono, i capelli appaiono ovunque, il suo naso si allarga, i suoi genitali mutano. Sebbene la signora H sia stupita, non è turbata. Piuttosto, la diverte e accoglie anche questo nuovo me. La tavolozza delle risorse dell’attrice italiana è inesauribile. Il suo linguaggio del corpo, i suoi gesti, le sue transizioni, le inflessioni della sua voce, il suo sguardo, i suoi silenzi: riempie la scena e cattura l’attenzione del pubblico “dall’inizio”. Patrizia Bernardi e Saverio Peschechera, in brevi interventi, compongono due simpatici personaggi.
Un paragrafo a parte merita l’ingegnoso dispositivo scenico: quel sipario multifunzionale che ambienta i diversi spazi in cui si svolge l’azione. Il lavoro dell’inglese Claire Dowie non diventa mai solenne. Ha molto umorismo e malizia, sfida lo spettatore, lo coinvolge, lo mette a disagio, lo diverte e lascia loro materiale per il dibattito e la conversazione post-teatro. Per coloro che non hanno visto questo gioiello al Dynamo Teatro, La Plata, possono goderselo questo fine settimana al “Patio de Actores”, Lerma 568, CABA. Una proposta imperdibile per gli amanti de “la lingua di Dante” e del miglior teatro.
Risvegliarsi una mattina uomo. «La Maschia» cabaret urticante
Una donna si sveglia una mattina e si ritrova trasformata. Questa volta non in uno scarafaggio, come il Gregor Samsa di Kafka. H., questo il nome, sente un formicolio alle braccia, vede la mano, il piede il naso mutati per metà, meno femminili, più grossi, più rozzi. Poi, al telefono, ha la controprova ai dubbi che le si sono insinuati nella pelle: le amiche le fanno notare che la sua voce è cambiata, è più profonda, maschile.
Torna in scena a Teatri di Vita (fino a oggi alle 17), nella traduzione di Stefano Casi, La maschia della scrittrice inglese Claire Dowie, esponente della stand-up comedy, ossia un cabaret urticante, con toni da «in-yer-face-theatre», ossia di quel teatro che affronta in modo diretto temi sociali o personali scottanti. È un monologo, con l’inserzione di due altri personaggi, di una donna che diventa uomo, che inizia a provare impulsi e sensazioni da uomo, ma anche a trovarsi scentrata rispetto alla precedente natura.
Per la compagnia del teatro di via Emilia Ponente firma la regia Andrea Adriatico, in un altro dei suoi lavori sugli slittamenti di genere, spesso intinti nel comico surreale, nel grottesco, come in spettacoli su testi di Copi quali Frigo con Eva Robin’s o quella girandola di situazioni folli per narrare l’allegria e il dolore delle pulsioni e delle mutazioni di sesso che è L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi .
La scena è scarna: uno spazio vuoto con un telo bianco che raffigura inizialmente una stanza, poi un bagno con quel water in cui la maschia non saprà se orinare seduta o in piedi, poi un salotto e altri ambienti della casa, appena accennati con linee disegnate sulla tela o oggetti appena rilevati (le scene e i costumi sono di Giovanni Santecchia).
La protagonista è Olga Durano, attrice di lunga esperienza, brava nel drammatico e nel comico (si ricorda la sua partecipazione anche al Gran Pavese Varietà ), che molte volte negli ultimi anni ha lavorato con Adriatico. Accentua qui la sua voce profonda, portandola da timbri di contralto ad altri più baritonali, fa spiccare le spigolosità della sagoma, giocando dentro e fuori dalle tende-scenografie, verso la fine in duetto con Patrizia Bernardi, conciata dal regista in sottoveste con i capelli trasformati in ciuffi spinosi di un femminile quasi da seducente casalinga Medusa.
Terza presenza, poco più che una figurante un po’ ocheggiante, di contro alle altre due più inquietanti, è la cameriera di Alexandra Florentina Florea. Durano e Berardi sono brave, perfettamente inserite nella trama del regista, ma c’è qualcosa che impedisce allo spettacolo di decollare. Il livello comico è basso, non si ride quasi mai, e l’opera non spinge neppure i toni drammatici, verso il dolore o l’ansia della mutazione: si mantiene in una grigia zona di mezzo, per cui neppure l’ironia della scarna scena convince, lasciando piuttosto un’idea di povertà.
Maschia non si nasce, si diventa: non si sa come, né attraverso quale processo di trasformazione, ma una bella mattina Helen scopre che il suo corpo lentamente sta mutando in quello di un uomo. Il monologo è una pigra presa d’atto di questa nuova condizione maschile da parte di una donna che sembra non avere nessun passato e che vive in diretta sul pubblico questa innaturale metamorfosi, come se si guardasse da fuori, in continua “soggettiva”, nella descrizione minuziosa di qualunque gesto, o atto, compia nell’ispezionare il suo fisico, in una maniera talmente asettica e indifferente che sembra quasi parlare di un’altra persona. Non c’è nessuno sconcerto o stupore in quello che dice o che fa, come se in fondo la cosa non la riguardasse. Né servono ad animare questo piccolo evento casalingo l’entrata in scena di Sharon, una allegorica donna delle pulizie e dell’amica Tina: tutto appare molto letterario, inutile e noioso, privo di qualsiasi senso teatrale: una lunga e apatica didascalia che ci lascia completamente indifferenti. La versione italiana, curata con accuratezza da Stefano Casi, tenta di accendere sul piano drammaturgico questo testo piatto con rimandi raffinati, allusioni forti, una terminologia sfacciata, indirizzandolo verso una linea comico-grottesca da commedia d’avanguardia un po’ surreale, come si trattasse di un testo di Annibale Ruccello e non dell’inglesissima, e fin troppo celebrata Claire Dowie, antesignana dello stand-up theatre, monologhi frontali a metà strada fra un cabaret d’assalto e lo spettacolo di intrattenimento dal linguaggio volgare, sessualmente esplicito, divertente: ma in questa occasione non centra nessun bersaglio. Olga Durano alle prese con questo vuoto teatrale rimane spaesata e incerta, prigioniera di un delirio di parole da cui non riesce a trovare una plausibile via d’uscita. La regia di Andrea Adriatico gioca la carta della leggerezza e del controcanto divertito con quella scenografia girevole su cui sono disegnate, come in un fumetto, le varie stanze della casa dove si muove la protagonista.
Sulla scena la sagoma di tessuto di una casetta, come la disegnerebbe un bambino. È una struttura piatta e girevole, che permette, attraverso pareti diverse, l’esistenza fantastica di più stanze: sala con telefono, salottino e bagno.Il bagno sarà particolarmente importante perché quello che le accade è intimo, avviene nel corpo, come dovrà farla questa pipì? “alza la seggetta, abbassa la seggetta” nell’incertezza la fa sotto la doccia, ma è chiaro che la nudità disarmante è il nucleo di questa rivoluzione in ogni parte della giornata. Sono i gesti quotidiani che si trasformano insieme al corpo. La signora H, doppio leggiadro del Gregor Samsa kafkiano, non si sveglia scarafaggio. “Sto diventando un uomo, tutto è iniziato dalla mano destra.” La protagonista è Olga Durano, un’attrice di altissimo livello. Sono calamitata dalla sua voce profonda, dalla scansione delle parole, dal valore che dà ad ognuna, mettendo in azione quel che il monologo dice. Se dice mi spoglio, si spoglia. Scelta registica non tradizionale, che dà spazio alla fisicità necessaria per questo risveglio dettagliatissimo in… uomo. La mano destra s’è avventata desiderosa al suo seno sinistro, e da qui inizia un divertissement irresistibile, raffinato e disinibito, su mutazioni sconcertanti: crescita di peli, masturbazione anomala, ingrandimento del clitoride, ma è con lentezza, sospensione, sapori surreali e sfasamenti beckettiani che si esprime questa metamorfosi combattuta, portatrice di asimmetria, scoperte e desideri nuovi.
“Mentre mi avvicino allo specchio, l’estraneo si avvicina a me”. Questa prepotente odiata identità, con quel prurito fisso nella zona cruciale, è inizialmente motivo di ritiro e vergogna, tanto da sottrarsi allo sguardo dell’amica tutta maquillage, con la sua strepitosa acconciatura medusiana e mangiare l’uva che le aveva portato dalla buca delle lettere. L’amica lancia il chicco, lei lo acchiappa, e così via, fino alla sfida di riempirsi la bocca di più chicchi possibili. Quando la farà entrare c’è il tributo all’imbarazzo guardando insieme la parete bianca. Progressivamente il desiderio, che è mutato con il corpo, le darà atteggiamenti sicuri, quasi sfacciati e conquistatori. E l’amica seduttiva le risulta un po’ puttana. La stand up comedy di Claire Dowie, tradotta da Stefano Casi, gioca con la compresenza di femminile e maschile, mostrando quanto siano buffi i luoghi comuni e le attitudini accertate di entrambi. Svela e ironizza i pregiudizi, gioca con queste maschere contrapposte, portandoci un senso gioioso e liberatorio, spogliandoci dalle definizioni. Ognuno in fondo merita un sesso tutto suo. Davvero un’opera originale, lieve e profonda, per attraversare l’identità, mostrandoci quanto sia facile slittare dal femminile al maschile e viceversa, e potersi riconoscere in questa fluidità di genere. Ma è anche un’opera sul cambiamento di sesso, da female to male, quello meno indagato. Brava anche l’altra attrice (Patrizia Bernardi) con una potenza mimica di grande impatto. Piuttosto trascurabile la presenza della donna delle pulizie. Adriatico, da cui esce questo spettacolo, lavora da anni su tematiche LGTB, privilegiandone l’aspetto poetico e ironico.
Come ci si potrebbe sentire se una mattina ci si sveglia e si scopre con orrore misto a curiosità che il proprio corpo di donna si sta trasformando in quello di un uomo, con tutti i luoghi comuni che accompagnano l’essere maschio, dal sistemarsi la patta, al farla in piedi, dal rincorrere i seni e palpeggiarli voluttuosamente ma con distacco finalizzato alla transitoria soddisfazione del proprio ego di maschio alpha?
Olga Durano, superba nella recitazione che non teme di offrire il corpo nudo al pubblico è l’eroina di questa pièce in cui deve confrontarsi con un corpo che sta cambiando contro la sua volontà.
“La maschia” dell’autrice inglese Claire Dowie è un’intelligente e divertente parabola sulle differenze e sugli stereotipi di genere, visti dalla parte della donna.
A portarlo in scena, con ottimi traduzione e adattamento di Stefano Casi, è Andrea Adriatico con la produzione di Teatri di Vita di Bologna, in una ripresa che aggiunge ancora sfumature all’allestimento collaudato e già visto per voi nei mesi scorsi ad Avamposti Teatro Festival.
Dowie, pioniera dello Stand-up Theater in Gran Bretagna, ancora una volta investiga in modo intelligente, mettendo spalle al muro il pubblico sovvertendo gli schemi dell’abitudine, i confini sempre più incerti dell’identità di genere, mutando un incubo catasfrofico, con la mano destra che avvia la mutazione nel fisico come in un B-movie anni ’80, in una commedia sull’essere coscienti del proprio sé. La mutazione è però raccontata da colei che è ancora donna, quasi col tono di chi, durante un documentario di divulgazione scientifica, descrive in maniera distaccata ma fedele la trasformazione in un insetto spiacevole e non in un maschio alpha degno dell’a società dell’oggi.
Le spiritose Patrizia Bernardi e Alexandra Florentina Florea sono ottime spalle di una Olga Durano, che mantiene la pungevolezza e il sarcasmo con cui oltre trenta anni fa dava le necessarie sfumature tragicomiche al personaggio della “professoressa senza mutande” del “Drive In” televisivo, veramente stupenda nel sottolineare i passaggi della trasformazione, anche quando offre il corpo nudo allo spettatore o mima la minzione maschile nel rapporto fra azione e tavoletta del WC. Una attrice che purtroppo offre troppo poco la sua bravura al pubblico, dopo i molti anni di teatro con Franco Parenti e Leo De Berardinis, ma anche, oltre al già citato Drive In, le numerose incursioni televisive come “La TV delle ragazze”, e che andrebbe molto più valorizzata come già fa Adriatico che l’ha diretta in molti spettacoli.
La scenografia, ideata da Gianni Santecchia con i costumi, è essenziale ma efficace in un meccanismo che girando a trottola consente con semplici teli disegnati di ricreare le differenti situazioni della narrazione in cui Andrea Adriatico gioca sul filo dell’identità di genere confrontandosi per la prima volta con i testi di Claire Dowie, una delle figure più anticonformiste del tetaro contemporaneo e più anticonformiste della scena londinese, giocando su una rotta di collisione fra maschile e femminile, dove la “femmina” racconta la psiche e il corpo del “maschio” fino ad impossessarsene.
Le già citate preziose comprimarie Patrizia Bernardi e Alexandra Florentina Florea sono rispettivamente fondatrice della compagnia di Teatri di Vita la prima, e cantante/attrice con Cantieri Meticci la seconda, altra esperienza tutta bolognese che lavora sull’integrazione di esperienze e espressioni diverse, con artisti provenienti da oltre venti paesi del mondo.
LA MASCHIA, metafora della “Metamorfosi” di Kafka, è andata in scena a Bologna nell’ambito della stagione “Memories are made of this” di Teatri di Vita, realizzata in convenzione con il Comune di Bologna e con il contributo della Regione Emilia Romagna, della Fondazione del Monte e della Fondazione Carisbo, e sarà di nuovo in scena a Milano fino al 24 novembre al Teatro Litta, e poi a Napoli (Galleria Toledo, 10 e 11 dicembre) e a Roma (Casa Internazionale delle donne il 12 dicembre).
Ghiotte occasioni per non perderla in attesa che venga rimessa in scena a Teatri di Vita.
Nello scorrere nevrotico del tempo romano, nella moltitudine indifferente che attraversa senza sostare, nella volatilità antisistemica, che valore hanno oggi nella nostra città i luoghi di aggregazione sociale? Come e quale ruolo svolgono? Sono un’eredità storica o avrebbero bisogno di un cambiamento generazionale? Disattendendo risposte univoche a simili quesiti che stentano ora a sedimentare una riflessione in divenire, non possiamo restare tuttavia indifferenti a certe rinnovate “dimostrazioni di presenza”. Poco prima della frenesia natalizia, in un affannato giovedì di metà dicembre trafficato e maggiormente intasato da un diluvio incessante, la Casa Internazionale delle Donne ha riconfermato – con quella militanza continuativa e silenziosa, priva di quel clamore evenemenziale ma forte del calore della sua solida utenza – di essere ancora un presidio necessario alla cittadinanza romana. Prima dell’ingresso in sala, tra loro le persone si riconoscono e si salutano, si aggiornano rispetto agli impegni organizzati presso la Casa, si danno l’arrivederci ad altre occasioni, decidono di vedere lo spettacolo insieme…
La replica finale della tournée 2019 dello spettacolo La Maschia di Teatri di Vita, programmata nella storica sede di via della Lungara, ha registrato una platea piena, un pubblico partecipante e un ascolto proficuo. La versione italiana di Stefano Casi del testo H to He (I’m turning into a man) della drammaturga e stand-up comedian inglese Claire Dowie per la regia di Andrea Adriatico ha permesso di osservare come l’utilità sociale di un luogo possa fare da traino a una scelta di programmazione non solo culturale ma anzitutto politica. Perché Claire Dowie è l’autrice che “te lo sbatte in faccia”, nel rigore crudo di una scrittura che procede in parallelo, tipica della sintassi inglese, e che non si attorciglia in complesse perifrasi ma si dispiega in coordinate, in sillogismi spregiudicati, cogliendo appieno la temperie di un movimento di pensiero. «Quello di Dowie è un discorso sociale sul genere. Non è un lavoro su qualcuno che cambia sesso quanto sulla spinta dell’adeguamento femminile al modello maschile», Casi me ne parla durante una telefonata, ribadendo le motivazioni che sottostanno alla scelta di questo testo e del luogo: «un luogo LGBT non ci sembrava adatto, pensavamo fosse più sensato presentarlo in un contesto capace di ripensare modelli e stereotipi relativi al problema del maschio».
Come un Gregor Samsa catapultato nell’orizzonte gender fluid, H si sveglia con una strana e diversa percezione di sé e in una serie di battute ripetute come fossero un angosciato refrain prende man mano consapevolezza del cambiamento: «sto diventando uomo!». La mano e il piede destro e poi la peluria sulle natiche e la pancia, il petto scompare mentre appare il pomo di virile significanza all’altezza della gola: la metamorfosi è in atto e lo sgomento iniziale trova poi stabilità nella nuova forma. Il palco leggermente rialzato è allestito con un semplice fondale ruotante su se stesso sul quale sono raffigurati, con tratto tipico di un minimalismo infantile, i contorni di un bagno da un lato e quelli di un ingresso casalingo dall’altro. Olga Durano – attrice matura e diretta da Adriatico già in precedenti lavori (L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi di Copi, Quai Ouest di Bernard-Marie Koltès, Jackie e le altre e Un pezzo per Sport di Elfriede Jelinek, Is, Is Oil da Pier Paolo Pasolini e Chiedi chi era Francesco di Grazia Verasani) – è H, il cui corpo e voce sono modulati nella trasformazione, nella presa di coscienza di una corporeità in trans, enunciata attraverso salite e discese tonali. Transizione subìta nella prima parte ma poi agita consapevolmente, in quanto la protagonista da apparente vittima dell’incorporazione di un modello imposto, quello maschile, finirà per esercitare un ruolo di comando rivendicato in nome del nuovo sesso acquisito nei confronti della sua amica accorsa perché insospettita (stralunata e per questo adorabile Patrizia Bernardi, tra le fondatrici di Teatri di Vita) e della sua donna delle pulizie, interpretata da Alexandra Florentina Florea, cantante e attrice dei Cantieri Meticci (Premio Scenario per Ustica 2017). Ferma e risoluta nei suoi pantaloni H, ora He, dirà «sono diventato uomo» schiacciando uno scarafaggio, in una sorta di contrappasso che attualizza la visionarietà kafkiana.
«Abbiamo deciso di ospitare lo spettacolo La Maschia perché non si schiera ma lascia aperti degli interrogativi ed è in grado di parlare alla nostra utenza. La Casa delle Donne è un presidio che dà servizi e anche questa scelta si è dimostrata un servizio: culturale, di intrattenimento ma prima di tutto un servizio. Sarebbe un peccato dover abbandonare questo luogo, ciò significherebbe una perdita per noi, per il Comune e per la cittadinanza tutta». Marcella Triggiani, Responsabile eventi della Casa Internazionale delle Donne, mi conferma lo stato di attesa nel quale la Giunta Raggi ha lasciato finora il presidio culturale. Tutto tace. All’indomani della nomina della nuova presidente Maura Cossutta, risale ormai a più di un anno fa il ricorso al TAR e la richiesta di rinnovo della convenzione con una risoluzione a 300.000 euro per colmare il debito.
In bilico sul filo di un rasoio, da barba o per radersi le gambe, tra stand-up comedy e cabaret, è bastato giusto un fondale un po’ sghembo, qualche parrucca e vestiti eccentrici per parlare a una platea eterogenea e divertita di sesso e potere, genere e sua incorporazione il tutto sbattuto letteralmente in una messinscena che poco si preoccupa della forma quanto vuole perlopiù puntare sulla parola di Dowie, schietta e di intrattenimento, dalla semplicità sprezzante perché detta e rappresentata così com’è, in grado di divertire per una sola sera un pubblico abituale, attivo e privo di sovrastruttura.