Il piacere – I


di Gabriele D’Annunzio

riletto da Andrea Adriatico

e Nicolò Collivignarelli, Sofia Longhini
e Michele Balducci, Patrizia Bernardi, Innocenzo Capriuoli, Alessio Genchi

e Andrea Barberini, Giovanni Santecchia per le scene e i costumi
e Eric Benda, Lorenzo Fedi per suono, immagini e allestimento
e Enea Bucchi per trucco e parrucco
e Anas Arqawi, Giulia Serinelli per la cura
prodotto da Saverio Peschechera

produzione Teatri di Vita
con il contributo di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero della Cultura
con il patrocinio della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani e del Centro Nazionale Studi Dannunziani

Debutto: 2025

Il romanzo Il piacere di D’Annunzio è un classico del decadentismo, ambientato nella cornice della Roma rinascimentale e barocca, che racconta la passione tra Andrea Sperelli ed Elena Muti. Il protagonista incarna il modello dell’eroe decadente che intende la propria esistenza come ricerca delle molteplici sfumature della bellezza e del piacere.

Andrea Adriatico affronta la scrittura di D’Annunzio come una sfida alla sua trasposizione e reinvenzione scenica, mettendo in rotta di collisione il racconto passionale e individuale descritto nella cornice storica degli anni ottanta dell’800, con la temperie storica attuale.

Un progetto di grande respiro, che debutta in occasione dell’anniversario della morte del Vate, avvenuta il 1 marzo 1938, e che si sviluppa in diversi spettacoli. Si comincia con la tappa dedicata al Libro I con cui inizia il romanzo.

***

persone spaventose. incontro persone spaventose. affido al mio diario, privato, queste piccole note di memoria.
avevo incrociato d’annunzio molti anni fa, con l’auto dei comizi, quando uno scoppiettante alessandro fullin prendeva fiume su una cinquecento gialla.
stasera arriva in scena il (mio) piacere.
è una visione di d’annunzio certamente più matura, come lo sono io (leggi vecchio).
è una visione che recupera un lungo pensiero su cosa sia la scrittura, su quanto abbiamo bisogno di luoghi comuni, di rifugiarci nella comoda certezza dello slogan: decadentismo, superomismo, destra, fascismo.
parole tornate di moda, semmai qualcuno pensasse abbiano vissuto una decadenza.
quando ero piccolo, ricordo che una zia andava molto fiera di essere andata in viaggio di nozze al vittoriale.
non sul lago di garda, magnifico, ma al vittoriale.
che fu l’ultimo eremo di d’annunzio.
era il segno di un’appartenenza.
l’ultima eco di omaggio ad un eroe popolare, che sapeva inventare parole in mezzo a sorrisi sdentati.
che dava prestigio alle acque minerali (che tutt’oggi bevo) e inventava parole in libertà.
sono tornato in quella casa museo quest’anno.
accompagnato da amici belli con cui ho rivissuto l’ingresso con cui il vate accoglieva in stanze separate gli ospiti graditi e quelli sgraditi.
devo copiare questa indicazione: ospiti graditi e sgraditi, casa, separare!
in questo lavoro c’è nascosto un mio timido e personale pensiero sull’oggi.
dove la destra e la sinistra confondono le proprie opinioni, si scambiano le parole senza riconoscerle, né capirne il senso.
d’annunzio un senso lo aveva ben compreso.
e non era edulcorato, tutt’altro.
puntava al PIACERE, di cui certo è stato schiavo.
non puntava all’amore.
il suo amore è menzogna.
come quello che prova andrea sperelli, protagonista de il piacere, che ama (mentendo) e geme (fingendo).
non c’è verità se non nella decadenza dei fiori.
è la straziante verità di un giovane di fine ottocento che non si preoccupa di scoprirsi bugiardo per conquistare il proprio spazio nel mondo.
il piacere è un romanzo magnifico e spaventoso, che prende il via in una roma lussureggiante che sembra un’immagine di pasolini, nella notte di san silvestro, e passeggia sulla storia di un uomo che avrebbe potuto cambiare il corso del 900.
l’ho fatto mio, come ogni autore che affronto.
in uno spazio tempo che rivela bisogni e follie.
questo viaggio mi ha reso diverso da quello che ero nell’ultima notte di san silvestro vissuta.
è stato un percorso difficilissimo e potente quello che mi porta in scena stasera.
che bello il mio lavoro.
che brutte le persone spaventose che incrocio.
quelle che si affannano a fingere, che inseguono avvocati, che vendono verità, che dimenticano favori.
quelle che pur di avere ragione non vedono le sofferenze dei loro stessi figli.
e si lamentano, si giustificano, allontanando il problema della propria infelicità per inseguire la virtù delle proprie menzogne.
per la prima volta l’umanità mi fa paura.
forse faceva paura anche a d’annunzio, almeno da un certo punto in poi, che si confinò per evitare la politica che fu, l’atmosfera che fu, tra stanze per graditi e librerie per sgraditi.
il piacere sia con noi, in questo “grigio diluvio democratico odierno”.

(Andrea Adriatico)

Andrea Adriatico, fondatore di Teatri di Vita, è regista teatrale e cinematografico, e architetto. Con i suoi spettacoli esplora le urgenze dei tempi contemporanei, confrontandosi con la politica (come in XYZ. Dialoghi leggeri tra inutili generazioni), i generi (come in eve) e i conflitti (come nell’ultimo Le amarezze di Koltès). I suoi ultimi film, presentati alla Festa del Cinema di Roma, sono Gli anni amari, distribuito a livello internazionale, che ha raccontato la biografia di Mario Mieli, intellettuale del movimento gay, e La solitudine è questa, docufilm su Pier Vittorio Tondelli.

Visioni critiche e social

Non è affatto semplice scrivere qualcosa di sensato nel parlare della rivisitazione teatrale di Andrea Adriatico del Libro I de Il piacere di Gabriele D’Annunzio vista ieri sera a Teatri di Vita.
È invece semplice esternare il piacere che ho provato a seguire uno spettacolo messo in scena attraverso artifici variegati che hanno portato sul palco, assieme a Nicolò Collivignarelli, Sofia Longhini, Michele Balducci, Patrizia Bernardi, Innocenzo Capriuoli e Alessio Genchi lo stesso Vate ma anche, inaspettatamente, Pier Paolo Pasolini, apparentemente il meno dannunziano tra gli artisti, oltre all’estetica (decadente?) del rap di Fabri Fibra che, con Stavo pensando a te, dà voce a una sorta di Andrea Sperelli mentre rimpiange l’amata Elena.
La decadenza umana e letteraria di un D’Annunzio ottocentesco e pre fascista messa sullo stesso piano della decadenza dei valori (illusoriamente) post fascista dei nostri giorni rappresentata dalla vagamente ridicola gestualità dei rapper, attraverso la voce del più grande e rimpianto intellettuale novecentesco che del decadimento dei valori è stato il più preveggente accusatore.
La messa in scena è alquanto originale oltre che efficace nei cambiamenti di mezzo d’espressione attraverso cui veicolare la trama di una storia di ‘piacere’ più che d’amore che si svolge a Roma, a Trinità dei Monti, all’interno di Palazzo Zuccari nell’ambito di una nobiltà annoiata che rappresenta l’esatto opposto del sotto proletariato amato da Pasolini che di quella città abitava (e abita) la squallida periferia.
Il teatro di Andrea Adriatico fa riflettere e le riflessioni che induce non sono affatto lineari come per nulla lineare è, solitamente, il nostro pensiero sempre in dubbio sul ritenere un accadimento etico o immorale, un comportamento giusto o sbagliato.
Pasolini era in qualche maniera dannunziano?
Quanta decadenza c’è nello scimmiottare movenze musicali afroamericane?
Devo leggere o no Il piacere disponibile in uno dei ripiani della mia biblioteca?
Stasera e domani pomeriggio avete l’imperdibile opportunità di trovarvi di fronte agli stessi quesiti…

“Che figata andare al mare quando gli altri lavorano…” canta Fabri Fibra. Ma potrebbe dirlo anche Andrea Sperelli, protagonista del “Piacere” di D’Annunzio, nella lettura che dà Andrea Adriatico del primo capitolo del romanzo-manifesto dell’estetismo “alla romana” , avvio questo di un progetto che intende portare sulla scena l’intera opera seguendone fedelmente il testo.
L’accostamento su cui è basata infatti questa prima parte della sfida è proprio quello fra la pesantissima prosa del Vate (per noi “post Hemingwayani”) e le barre dei più o meno giovani rapper nostrani E sembra incredibile ma funziona! Nella bella recitazione dalla gestualità hip hop di Alessio Genchi, Innocenzo Capriuoli e Michele Balducci quelle parole sembrano ricevere quasi una nuova energia, andando a raccontare al pubblico ciò che avviene nella stanza ovattata da cortine di lino (beh, occorre adeguarsi…) nella quale Andrea attende e poi riceve Elena, subendo il primo “rimpallo” del romanzo.
Ma Adriatico sfodera in questa oretta di spettacolo anche altre armi a confondere e stupire gli spettatori: dagli inserti della musica metropolitana contemporanea, già indicata in apertura, agli sguardi in camera ottica da esordi del cinema muto, fino ad un sorprendente uso dell’intelligenza artificiale (nooo.. Anche qui! Eppure crea le giuste suggestioni).
Viene proprio voglia di rispolverare il postmodernismo!
Fino a domenica ai Teatri di Vita.
Buoni applausi.

D’Annunzio e Pasolini: il Piacere di Adriatico

D’Annunzio a teatro? Certo. E non con un testo teatrale, che so, La fiaccola sotto il moggioFrancesca da RiminiLa naveLa figlia di Iorio. Con un romanzo, il primo, Il piacere, scritto tra 1888 e 1889, pubblicato da Treves nel 1989, considerato una specie di manifesto del decadentismo italiano.

È Andrea Adriatico, uso a sfide ardimentose, ad avviare l’impresa. Avviare, perché nei Teatri di Vita, che dirige a Bologna con Stefano Casi, debutta uno spettacolo ispirato solo al primo capitolo del romanzo, quello che racconta l’attesa di Andrea Sperelli, in un ambiente raffinato, carico di fiori e di oggetti floreali, di Elena Muti, che era stata sua amante anni addietro, che ha incontrato per strada casualmente e che ha invitato a venirlo a trovare. E il resto della storia, gli altri capitoli? Saranno oggetto di prossimi spettacoli, con la promessa, quindi, di un vero e proprio ciclo dedicato al Piacere.

Non è questa, però, la sola sfida del regista. All’inizio siamo accolti da un’immagine del Vate, con la classica pelata e baffetti, il poeta maturo, non quello giovane che stilò quel primo romanzo. Immobile all’entrata degli spettatori, quando le luci si spengono l’effigie inizia a parlare. Con la voce di Pasolini. Dice un testo del film La rabbia: se non si grida e viva la libertà ridendo, non si grida e viva la libertà… se non si dice e viva la libertà con amore non si grida e viva la libertà…: solo l’amore conta.

Succedono immagini di volti, di uomini, di donne, come in un film muto. Fantasmi, dal trucco caricato. La voce di Pasolini descrive Sperelli, il trauma infantile della fuga della madre, l’amore per Roma, non per quella dei Cesari ma per quella dei Papi, rinascimentale e barocca. Quindi D’Annunzio con la voce di Pasolini inizierà a raccontare l’atmosfera del giorno dell’incontro, il pomeriggio di un San Silvestro con le strade popolate come fosse maggio, la luce dorata di Roma, verso Trinità de’ Monti, l’attesa spasmodica di Elena, la memoria dei giorni d’amore e dell’addio… Ricostruzione vocale o intelligenza artificiale, con il deragliamento di associare una voce all’immagine di un’altra persona? Una linea D’Annunzio-Pasolini? Dove? Nello stile? Nella ricchezza di coloriture stilistiche, tanto diverse dal nostro piatto linguaggio quotidiano? La diversa ma per certi versi analoga ricerca di letterarietà?

Ed ecco un altro deragliamento. Irrompono tre giovani d’oggi (coatti? borgatari?) con il rap di Fabri Fibra E stavo pensando a te (che figata andare al mare…). Saranno loro a raccontare l’attesa di Andrea. E l’incontro con Elena, intorno al cilindro di veli che accendono, illuminandolo dall’esterno, rivelando così la stanza di Sperelli.

La figura dei due attori che interpretano gli amanti di un tempo, alla ricerca non tanto di amore, quanto di piacere da rinnovare, con lei lontana, restia, sposata a un altro in quei due anni di distanza, lui che cerca di rapinarne gli abbracci, il corpo… Qualche sobria battuta e poi gli interventi di quel coro d’oggi (Michele Balducci, Innocenzo Capriuoli, Alessio Genchi, con Patrizia Bernardi apparsa in video a completare il cast). Lui è Nicolò Collivignarelli, lei Sofia Longhini: sono due silhouette, due immagini sospese, due fantasmi; i tre li circondano, li illuminano da più parti, rivelano l’evolversi delle situazioni in modo piano, efficace. E ogni tanto il D’Annunzio Pasolini interviene a registrare l’atmosfera, il passare del tempo, la tensione dei due che cala e sale fino al tramonto che porta alla separazione.

Difficilmente valutabile questo spettacolo. Conviene rimanere in attesa dei suoi sviluppi. Interessante d’idea di distanziare (di creare una lontananza intellettuale e dei sensi) usando immagini cinematografiche, come pure lo svisare tra immagine riprodotta e presenza, come pure quel corto circuito tra Pasolini e D’Annunzio, che toglie retorica al Vate, forse, e trova una nota pasoliniana nelle sue descrizioni atmosferiche romane.

I due protagonisti, dicevo, sono figurine di una recita quasi da fantoccini: con baffi all’insù dannunziani lui, con un ovale perfettamente fine Ottocento ma un portamento troppo contemporaneo lei, nonostante l’abito fin de siècle. L’intrusione dei tre ragazzi la leggiamo come una possibile storia d’oggi, solo con stile differente (il rap al posto della prosa ricercata ed effettistica del romanzo, un altro modo di fare stile per narrare), e come uno sromanticizzare il tutto, dannunzianamente, andando nel rapporto alla ricerca principalmente del piacere. Eppure pesano quelle frasi inziali, sulla libertà, sul gridare evviva la libertà, ma con amore, solo con amore, altrimenti non si grida evviva la libertà. Amore… Libertà… Intanto mi sembra trionfi una gagliarda voglia di sperimentare, di moltiplicare.

Vedremo come continuerà questo spettacolo, dai forti connotati della ricerca linguistica, di cortocircuiti linguistici.

Note su Il Piacere di Andrea Adriatico
Il vate è immortalato giovane.
E quando d’un tratto dice e ci arriva addosso la voce, la nostra malinconia cambia direzione… non si avvia sulle scale del Vittoriale, non sbircia i fasti di una nobiltà blasonata che sorride a sfocare… ma prende una strada inusuale che è quella di ammonirci sulla libertà.
Ed è evidente che D’Annunzio ci irride. Poco importa se con parole sue.
Usa le parole che avrebbe potuto usare se ci avesse visto per questa pletora di inermi che siamo.
Che in questo è maestro Adriatico. Posizionarsi indietro, nella storia poetica, ristabilire la messa a fuoco fondamentale per guardare il presente con sguardo limpido, senza consentire alle inconsistenze odierne di scappare di qua o di là.
Uno spettacolo che è estetica del disvelamento, sfida a quella rimozione che è divenuta un cliché.
Già perché se è vero che D’Annunzio non è amato da una certa mentalità falso progressista, se è vero che è innominabile per la sua esaltata adesione al fascismo, non pare che sia davvero D’annunzio a interessare Adriatico, non pare che sia Pasolini anche lui chiamato in scena a portare la voce di una irriverenza , quanto quel loro modo di aver domandato ad un epoca, di averne guardato le linee, le premesse di sfascio imminente e di averne indossato il seducente profumo come compito storico.
Il Piacere di Adriatico non è infatti un sogno di erotismo, e neppure un atto di rimpianto, è un procedere che ha piuttosto a che fare con il dolore.
Il dolore della libertà di essere in una società che si manifesta indifferente. Il dolore di un potenziale espressivo che non travalica in passione di vivere ma cade senza protezione nel vuoto di solitudine.
Già perché l’ Andrea Sperelli che D’Annunzio dice è in pena per amore sì ma è soprattutto in pena perché si è smarrito, caduto dentro una trappola, bellissima vero? Bella sì perché è quella che abitiamo oggi, in giornate dentro chi tutte le possibilità sono spalancate, ma bisognerebbe crederci perché esitano.
Andrea Sperelli è quel modello borghese di individuo che nel tentativo di costruirsi libero finisce per rimbalzare contro la propria angoscia, è quello che inscena desideri inconsistenti per gestire il balbettante richiamo della sua inquietudine.
Che figata andare al mare quando gli altri lavorano / Che figata fumare in spiaggia con i draghi che volano / Che figata non avere orari / né doveri o pensieri /
E’ questo che raccontano i tre rapper in scena, gli unici che potevano offrirci un D’Annunzio in dialogo con l’attuale disastro, considerato che nei testi dei rapper abita forse l’unica possibilità di sfidare la falsa narrazione di una soggettività che smuove o che lascia impronte nella storia.
Come sempre chapeau al teatro di Adriatico. A quel suo essere capace di risuonarci dentro come invito al coraggio di un pensiero onesto.

Il piacere a teatro: non succede molto frequentemente, per fortuna ci ha pensato Andrea Adriatico a riportarlo in scena. Uno dei romanzi più belli e scorrevoli della nostra letteratura, da rileggere più volte per scoprirne ogni volta nuovi dettagli della morale complessa che esprime. Eccolo in una veste ancor più contemporanea, con spunti dalla storia attuale che continua come allora a raccontare l’esigenza di ritrovarsi in slogan ed eccessi per giustificare la propria presenza nel mondo. Un allestimento moderno, dove il video si unisce al palcoscenico per supportarlo nei flashback e nelle sensazioni che questi comportano. Adriatico disegna a modo suo (ma tradendo il senso originale del testo) il primo dei quattro libri de Il piacere, che si inserisce alla perfezione nella programmazione di un teatro come il Fontana, sempre attento alla letteratura internazionale e altresì alla cultura e alla storia italiana. Arriveranno presto i prossimi capitoli, ma per un progetto così completo sarebbe interessante se il regista pensasse anche a una versione cinematografica, in modo da rilanciare questo immenso romanzo anche sui grandi media.

IL TOP

Straordinaria coralità di un cast che porta in scena coraggiosamente un testo più che mai contemporaneo. Emerge un Andrea Sperelli spregiudicato ma non fastidioso. In un mondo dove nessuno sa più davvero distinguere tra il vero e il falso, nemmeno nelle proprie opinioni, Sperelli appare paradossalmente più sincero rispetto all’ipocrita società che lo circonda. Tutti perfetti nell’interpretazione, che regala emozione e non banalizza la mondanità come spesso capita di vedere. Una nota di merito particolare va a Sofia Longhini: la sua sensualità e l’eleganza che porta in scena, il teatro non le scopre certo oggi, nonostante la giovane età di questa attrice che si conferma una tra le più espressive mai viste negli ultimi anni. Vale la pena sottolinearla ogni volta senza stancarsi. Applausi.

LA SORPRESA

C’è da sempre una sorta di reticenza nel raccontare D’Annunzio: come se chiunque avesse paura a schierarsi in un certo modo. Del resto nessuno ha mai avuto davvero il coraggio di dire che anche La grande bellezza di Sorrentino fosse in qualche modo una rivisitazione dell’opera dannunziana a cui si ispirava. Con questo allestimento, Adriatico va oltre tutti e ci restituisce il senso più autentico della poesia del Vate. Traspaiono rispetto e ammirazione per questo grande personaggio della storia italiana: finalmente, perché solo così si può tramandare la nostra cultura. Si sparga la voce, perché questo spettacolo merita di girare il più possibile: il progetto è ambizioso e valoroso.