donne. guerra. commedia
di thomas brasch
versione italiana di stefano casi, iris faigle
uno spettacolo di andrea adriatico e iris faigle
con il lavoro di patrizia bernardi, rocco bernasconi, franco fantini, fabio michelini, antonella scardovi, emanuela pierucci e di barbara pulliero, daniela cotti, marc richman, claudio ragazzi
(sostituzioni: andrea gallo, massimiliano rella)
ambienti di andrea antolini
una produzione :riflessi, santarcangelo dei teatri, comune di bologna-assessorato alla cultura
in collaborazione con Henkel
Prima rappresentazione: Rimini, Teatro Novelli, 6 aprile 1993
anteprima: Ravenna, Teatro Rasi, 16 marzo 1993
Nel 2003, a dieci anni dal debutto di questo spettacolo, Andrea Adriatico realizza una nuova edizione di Donne. Guerra. Commedia.
Visioni critiche
Si tratta di un grande ripensamento sulla guerra e sul suo significato, ma anche su quello del teatro, caratterizzata da una scrittura piuttosto complessa che costringe lo spettatore ad una continua vigilanza. Nonostante la complessità dei dialoghi, nonostante la costruzione del tessuto narrativo non conceda niente alla emotività, anzi rinunci volutamente ad un impatto emozionale, teatralmente questo spettacolo funziona. Merito degli interpreti – bravissima soprattutto Patrizia Bernardi alla quale è interamente affidato il terzo atto – e della regia che si avvale di semplici trovate, però di grande effetto.
Uno spettacolo di forte sapore contemporaneo che dà corpo e respiro alle metafore tragiche, ai racconti straniati, al linguaggio “dell’assurdo” di Brasch. La regia e il gioco d’attore creano un universo artificiale, iperrealistico, in bilico fra simulacri ludico-coloristici della Pop Art e “magia” straniante degli spot pubblicitari.
Sullo sfondo, il racconto della prima guerra mondiale, metafora di tutte le guerre da quella di Troia in avanti, con il senso dell’impotenza a dominare l’angoscia, con la percezione dell’annullamento delle identità personali. In scena, più che personaggi simboli, ad esempio un suggeritore incapace di suggerire. O una donna, Klara, che incarna fino all’estremo degrado la femminilità oppressa, la vertigine di chi vive su una fila di elettrodomestici come in un ospedale o in un cimitero: l’Europa di Sarajevo?