Cara Medea

di Antonio Tarantino

regia e interpretazione Francesca Ballico

collaborazioni, traduzioni e voci Ludmila Ryba, Jola Kowalska Durazzano, Matko Amulic, Adriana Å Najder, Brunilda Ternova, Valbona Korini, Beatrice Campo, Vasilica Poamaneagra, Elena Souchilina, Anatoli Zaitsev, Elena Moskovkina, Nadia Malverti, Sabine Richter, Project Mondosud, Maurizio Mattarelli e Antonio Dotti

produzione Teatri di Vita

con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Debutto:
Festival Cuore di Medea, Teatri di Vita, Bologna, 22 luglio 2010

Fulminante e coinvolgente monologo del 2004, Cara Medea trasferisce il classico mito della infanticida ai giorni nostri, facendole indossare i panni di una straniera che viaggia attraverso le guerre e le migrazioni. Dai Balcani al Caucaso lo spettacolo crea una macedonia linguistica che tritura le parole di una Medea calpestata dalla storia, brutalizzata, che uccide quasi d’impulso. Nella semplicità naturale degli abusi, filtrano migrazioni che si mescolano nel tempo e nella geografia dell’umiliazione dei massacri. Dalle parole faticate di chi è sempre straniero, ad un corpo intruso e inopportuno, Medea incarna chi vive agli angoli delle strade delle nostre città così come chi si trova a vivere la condizione di immigrato.

Nella sua interpretazione, Francesca Ballico inchioda la sua Medea alla comunicazione di una grottesca telefonata d’amore impossibile che ricorda La voce umana di Cocteau, sputando dentro la cornetta dolore e sarcasmo in un impasto linguistico che mescola idiomi slavo-balcanici con l’italiano corrotto di Tarantino e il friulano.

Una vera “prova d’attrice” per un monologo che attraversa 6 lingue, senza mai trovare requie, proprio come la Medea straniera del mito. Una prova amplificata dal primissimo piano della bocca, degli occhi, del volto sofferente o beffardo, rilanciato su grande schermo, che richiama la grande lezione della Giovanna d’Arco di Dreyer: così la Medea di Francesca Ballico si ritrova nuovamente condannata a un rogo ideale, santa lottatrice ma perdente, dopo aver attraversato l’inferno del lager di Sobibor, della prostituzione nelle camionarie della Mitteleuropa, irridendo un bolso  Giasone diventato magazziniere nel fantomatico silurificio di Pola…

Medea la barbara, la straniera, porta la voce di lingue sconosciute, le ferite degli uccisi, il sacrificio dei figli fatti a pezzi per Giasone il moderno, il pragmatico, lo scaltro. Nella versione di Antonio Tarantino dietro i nomi del mito si arrabattano due disgraziati offesi dalle guerre, rovinati dal vino cattivo e dalle prestazioni sessuali consumate tra i camion nelle strade di frontiera. La mia Medea non riesce a farsi capire, la sua storia è risibile così come il suo orgoglio, la vanità di avanzi di seduzione, le recriminazioni contro un Giasone altrettanto impotente che le spilla due lire dai campi di prigionia. Una babele di lingue segna il cammino tra le guerre che hanno dilaniato i confini d’Europa nel Novecento. Parole sconosciute che si affastellano, si sbriciolano progressivamente fino a diventare sillabazioni inopportune, grottesche. Inadeguate al racconto. La linea cade, la comunicazione si interrompe e riprende in un flusso caotico, dal quale traspare la storia di due eroi di rango più basso, una storia che non ha asilo nel mondo civile, che non sa difendersi. Seguo il suo cammino tra i confini, sbriciolando il polacco, il friulano, il croato, l’albanese, il rumeno, il russo con l’italiano sgraziato e inopportuno di chi racconta le sue improponibili vicende tra una fellatio e l’altra.

(Francesca Ballico)

Due parole per Cara Medea
La scelta di ripetere e riprendere il testo di “Cara Medea” in diverse lingue dell’est europeo corrisponde esattamente alla mia intuizione drammaturgica originaria: dove il personaggio del mito viene precipitato in un inferno di irreali realtà post belliche, in un mondo che s’insegue vanamente alla ricerca di un senso di sé che forse non ha mai avuto, prima ancora di averlo smarrito. “Altro che pompini!” esclama la protagonista – un’infanticida – pensando a ben altri delitti riassunti tutti in un nome terribile: Sobibor. Un nome tra i tanti confuso in un’assurda geografia, in un folle percorso al termine del quale un inebetito Giasone attende il ritorno della sua cara Medea. Interpretata con grande intensità da Francesca Ballico.

(Antonio Tarantino)