Biglietti da camere separate
uno sguardo di Andrea Adriatico
su Pier Vittorio Tondelli
#edizione1 con
Maurizio Patella in Camera 1
Mariano Arenella in Camera 2
#edizione2 con
Matteo Prosperi in Camera 1
Davis Tagliaferro in Camera 2
#edizione3 con
Alberto Baraghini in Camera 1
Stefano Toffanin in Camera 2
#edizione4 con
Francesco Martino in Camera 1
Damiano Pasi in Camera 2
musiche originali di Massimo Zamboni
cantate da Angela Baraldi
luci, scene e costumi di Andrea Barberini
cura Saverio Peschechera, Giovanni Santecchia, Anas Arqawi
tecnica Mirko Capelli, Marco Orea Malià
una produzione Teatri di Vita
con il sostegno di Comune di Bologna – Settore Cultura, Regione Emilia-Romagna – Servizio Cultura, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
all’amore, separato
Prima: Bologna, MAMbo, 28 luglio 2011
Ho conosciuto Pier Vittorio Tondelli negli anni amari, in quel finire di secolo che ha sterminato le menti che ho amato di più nella mia prima giovinezza.
Sì, gli anni ’80 sono questo per me: anni amari.
L’Aids si è portato via i sogni della gente di quel tempo, e non li ha più restituiti. Anzi… ha regalato in cambio un sonno perenne, definitivo, ad un’intera generazione.
Gli anni amari di Pier Vittorio Tondelli sono finiti così, nel 1991, vent’anni fa, al debutto di un Natale, in un letto d’ospedale.
Non ha parlato mai della sua malattia pubblicamente. Non ha parlato mai del suo morire. Almeno in apparenza.
L’ha però trasposta in un racconto carico di umanità legato alla morte altrui, usata come specchio per l’anima.
Ha però parlato di omosessualità, di silenzio, di vita, di misteri delle emozioni, quasi suo malgrado. Ha percorso il suo tempo spaventato dall’essere considerato troppo giovanilista, troppo frocio per froci, troppo marchio per esordienti, troppo etichetta, secondo la moda che gli anni amari hanno trasmesso alla storia. In quegli anni non l’ho amato.
Oggi è forse uno dei pochi autori di cui credo di aver letto quasi ogni riga. A cui ho dedicato una delle due sale del teatro che dirigo. Convinto come sono che non sia, come ingiustamente molti pensano, solo un autore del suo tempo, miseramente relegato nel turbine di weekend postmoderni.
Per questo provo a restituire Camere separate in brevi biglietti, vent’anni dopo, sentendone proprio ora tutta la straordinaria potenza e attualità.
Andrea Adriatico
Visioni critiche
A volte la cronaca s’incrocia inmodo straordinario con ciò che non lo è. Si discuteva tra amici della triste morte di una giovane donna causata da pratiche bondage. Andrea Cortellessa ci ricordò che di bondage Pier Vittorio Tondelli parla nel suo romanzo «Camere separate». Questo romanzo non lo lessi, mi ero fidato del giudizio di Angelo Guglielmi, che lo riteneva «sentimentale». Non lo lessi, dunque, e «Biglietti da camere separate» di Andrea Adriatico, in scena a India per Short Theatre è un’ottima occasione per accostarvisi al punto che si potrebbe benissimo non leggerlo – non perché sia un romanzo sentimentale, ma per lo scrupolo con cui ce ne viene dato conto, ovvero viene rappresentato. Si esce dalla performance dei due interpreti, Maurizio Patella e Mariano Arenella, pensando: ora l’ho letto, è come se lo avessi letto. Ma non è come se lo avessimo ascoltato alla radio, con qualche taglio di pagine ritenute superflue. L’elemento di scrittura scenica non è di poco conto. I due attori, distanti l’uno dall’altro, si parlano, e a noi parlano, ciascuno da una «camera»: un cerchio disegnato con mattoni da costruzione, materiale che al regista Adriatico è caro. Gli attori sono vestiti con camicia bianca e pantaloni scuri. Ben presto la camicia vola via. Più tardi i due si tolgono i pantaloni e per buona parte dei novantacinque minuti recitano nudi nello spazio denominato Esterno Canneto. C’è in questa figura qualcosa di trattenuto, quasi di schematico; e qualcosa di selvaggio, di primitivo. Vi sono anche, nell’immagine complessiva, lievi modificazioni: Patella e Arenella si scambiano i propri spazi, s’incrociano e parlano a metà strada, a un filo appendono un lenzuolo e una camicia, così sottolineando il momento domestico d’una storia d’amore il cui succo è nel desiderio di Thomas di vivere con, e in quello di Leo di vivere senza, ossia «separati». Di qui il contrasto che porterà alla morte del primo per Aids e alla fuga solitaria del secondo, in disperato viaggio attraverso l’Europa. Tondelli, apprendiamo, non concepiva l’amore se non come solitudine e desiderio rinnovato dalla distanza.
Con queste parole si è in teatro, al buio, gli spettatori – un numero appositamente ristretto – fanno parte della scena, posizionati lungo i lati e, in diagonale, sono posti due piccoli palcoscenici circolari, illuminati dall’alto. Sono le “Camere separate”, da dove gli attori prestano presenza e voce per raccontare la storia di Leo e di Thomas, attraverso la morte del secondo e l’elaborazione del lutto del primo. L’evento della morte, con tutta la sua forza e distruzione, sarà l’occasione per Leo di ripercorrere passo passo, attraverso i ricordi, i flashback, tutta la sua vita, dai primi anni in famiglia vissuti in un paesino fino ai viaggi in Europa.
Filo conduttore è l’amore vissuto in modo non convenzionale, che per esprimersi ha bisogno di spazio, di lontananze, di camere separate appunto dove poter vivere senza soffocarsi. Qual è il modo giusto di amare, o forse, esiste veramente un modo giusto di amare? Una canzone di Sting diceva che se ami qualcuno lo devi lasciare libero. Così Leo e Thomas si ameranno, si lasceranno, staranno lontani senza però dimenticarsi, senza poter dimenticare l’amore che li ha uniti. La vita poi prende delle strade inaspettate e le reazioni al vuoto lasciato da una persona amata sono le più diverse: Thomas sceglierà la vicinanza di una donna per riempire quel vuoto.
Gli attori Matteo Prosperi e Davis Tagliaferro stanno a distanza l’uno difronte all’altro e si spostano per recitare con il microfono lungo il palcoscenico. Il loro raccontare, sotto la regia di Andrea Adriatico, vuole essere un omaggio all’autore, a Tondelli a vent’anni dalla sua morte e al suo ultimo romanzo.
Una storia affidata alle voci e ai corpi di Matteo Prosperi e Davis Tagliaferri, che un po’ in terza un po’ in prima persona in un crescendo che è emozionale più che cronologico, ripercorrono alcuni snodi, i Biglietti del titolo, quelli più significativi dal libro di Tondelli. Dall’ultimo incontro sul letto di morte di Thomas alla decisione di continuare il rapporto a distanza, dalle fughe in avanti di Leo alla sua ricerca di evasioni in locali di sesso estremo, alla consapevolezza di un destino in solitaria appagato però dalla scrittura.
Settanta spettatori, dislocati lungo le pareti della platea del San Giorgio svuotata, mentre due piattaforme circolari in due angoli opposti, le camere separate, accolgono i due attori impegnati a un microfono con asta in un gioco, a tratti anche monotono, di racconto e interpretazione. Svelamento di un’interiorità insaziata di vita, al limite della disperazione, scandito da una colonna sonora tutta anni 80, per evocare le discoteche o sottolineare le accensioni della passione, mentre sono ridotte all’osso le azioni che intercorrono tra i due: solo spostamenti da una piattaforma all’altra, un breve abbraccio o nudi ognuno nel suo spazio, nel momento forse più forte dello spettacolo, a rivivere un incontro di Leo con un gigolò in un locale leather contrapposto a un intervento chirurgico subito dallo stesso Leo. Una sorta di desolato parallelismo tra eros e thanatos, che è poi il segno fondane del romanzo e dello spettacolo. E che sigla quel disincanto quell’inquietudine, quella “volontà di svanimento”, tra fine dell’ideologie e consumismo imperante, che è stata di un’intera generazione, gay e no, cui Tondelli ha dato magistralmente voce. Applausi sentiti e calorosi.
PIER VITTORIO TONDELLI RIVIVE NELLO SPETTACOLO DI ANDREA ADRIATICO
L’interessante spazio Teatroinscatola di Roma presenta fino al 16 marzo, lo spettacolo prodotto da Teatri di Vita “Biglietti da Camere Separate”, per la regia di Andrea Adriatico, con Matteo Prosperi e Davis Tagliaferro, dedicato all’ultimo romanzo di Pier Vittorio Tondelli, per l’appunto “Camere Separate”.
Lo spazio è diviso in due sezioni, due camere per l’appunto, dove i due attori armati di microfono con asta, come lottatori della comunicazione, ci intrattengono. Entriamo a spettacolo iniziato (si entra sempre a spettacolo iniziato, ormai… Non è più una novità dal 1980…) accompagnati da “Emilia Paranoica” dei CCCP, poi comincia il racconto. Che non è nient’altro che la recitazione a memoria del romanzo di Tondelli, che chi scrive conosce praticamente a memoria, mentre poco prima, all’entrata, ci è stato consegnato un foglietto con un biglietto tondelliano (ricorderete il famoso “Biglietti agli amici”, nato prima come omaggio numerato per pochissimi poi ristampato da Bompiano subito dopo la morte dell’autore. Il mio per la cronaca è il biglietto n°4, quello di un frammento di un testo di Joe Jackson).
Lo spettacolo scorre: la storia di Leo e Thomas, del loro amore, della morte di Thomas, della disperazione di Leo per la morte di Thomas e per la sua stessa permanenza in vita, l’incapacità di vivere un amore per il gusto di vivere l’amore, una certa omofobia interiorizzata di cui Tondelli era vittima, ma che nel 1989 nessuno aveva nemmeno il coraggio di nominare, i numerosi frammenti di parole che si accavallano, troppe, troppo numerose e dette troppo in fretta, e poi i due attori che si tolgono la camicia proprio quando me l’aspetto e si denudano esattamente quando sento che si denuderanno (non è colpa mia, conosco il testo a memoria), alcune trovate di regia interessanti, la separazione in due camere (separate appunto) con due lenzuola e tre federe (una di Leo, una di Thomas l’altra della ragazza di Thomas) poi la morte di quest’ultimo e il solitario monologo di Leo, di Pier Vittorio, dell’attore, di tutti coloro che sono soli.
Poi l’addio finale, pronunciato con una freddezza devastante di cui il romanzo nemmeno lontanamente è portatore.
Le osservazioni sullo spettacolo, che sarebbero numerose, non le faremo in questa sede, sottolineando soltanto che da parte degli attori sarebbero state necessarie una maggiore cura nella locuzione e attenzione al ritmo della recitazione, perché trattandosi della “ripetizione” di un testo letterario le sporcature vanno ad inficiare direttamente il lavoro dell’autore, prima che il loro.
Il lavoro di Andrea Adriatico, che come qualsiasi lavoro può piacere o no, ha cil pregio di essere sempre sorretto da un progetto e di non apparire mai come una meteora impazzita in un universo desolato come succede invece per molti altri lavori che troppo spesso si vedono nei teatri di questo paese, in più il lavoro di recupero del romanzo di Pier Vittorio Tondelli – romanzo di cristallina scrittura – è un’operazione culturale notevole che dovrebbe essere visitata soprattutto da coloro i quali di Tondelli non sanno nulla.
O sanno troppo poco di tutto.
Approfondiremo il discorso anche con il regista con un’intervista ed un interessante approfondimento tondelliano che pubblicheremo sul primo numero del nostro nuovo mensile online, il prossimo Aprile.
Nel frattempo lo spettacolo vi aspetta fino al 16 marzo, vale la pena assistervi.
Al Teatro in Scatola va in scena un’opera sfrontata e allo stesso tempo preziosa e commovente, si tratta di “BIGLIETTI DA CAMERE SEPARATE ” ispirato al romanzo “Camere separate” di Pier Vittorio Tondelli, una rilettura dell’indimenticato scrittore, resa dal regista teatrale e cinematografico Andrea Adriatico in una veste forte, spiazzante decisa ed originale.
La scena è divisa in due spazi posti alle estremità del piccolo Teatro in Scatola, due camere lontane, due spazi privi di accessori dove Matteo Prosperi e Davis Tagliaferro mettono in scena alcuni fra i passi più belli del romanzo di Tondelli, alternando la declamazione alla recitazione, passando per scene di nudo e bondage al ritmo di musiche punk di Massimo Zamboni cantate da Angela Baraldi. Fino a girare nel lungo corridoio lungo il quale vengono poste le sedute, per parlare direttamente agli spettatori.
Ottima la scelta di una colonna sonora forte, utile a smorzare i passi più lenti di un testo difficilissimo, recitato con attenzione, recitato soprattutto guardando negli occhi lo spettatore, facendolo partecipe di un messaggio universale. Intelligente l’idea di separare fisicamente i due attori e di farli incrociare raramente. A Matteo Prosperi spetta l’arduo compito di narrare la desolazione di Leo, e lo fa con disincanto e commozione. La voce di Tagliaferro ci regala, invece, i passi più teneri di Tondelli: basta chiudere gli occhi e i due aspetti dell’animo dell’Autore rivivono e colpiscono nella loro essenzialità.
Si tratta di un’opera studiatissima nei dettagli scenici, essenziali ed eppure tutti funzionali alla emersione del contenuto dell’opera di Tondelli, quella descrizione dell’amore omosessuale vissuto in “camere separate” dai due protagonisti, Leo e Thomas (di cui Leo non è altri che l’alter ego di Tondelli) proprio per la paura di viverlo. Da questo tema centrale derivano delle riflessioni, quasi annotate su “bigliettini” lasciate alla voce dei due giovani attori: riflessioni sulla solitudine dell’omosessualità vissuta quasi come “una ronda di notte”. E poi quel sentimento di presunta inferiorità dell’amore omosessuale rispetto a quello eterosessuale e la paura di amare che spinge Leo a tenersi separato da Thomas (che pure vorrebbe convivere) “per paura di bruciarsi”. Infine, la desolazione della perdita, quel viaggio dentro se stessi per “ricapitolarsi”, il presagio della fine di Leo, emblematico della fine di Tondelli stesso.
Si resta vagamente ad occhi lucidi alla fine dello spettacolo. Ciò che colpisce non è la “vigorosità” metaforica del testo scelto e della resa teatrale estremamente cruda e spoglia, e nemmeno le scene di nudo che compaiono in un preciso momento narrativo accompagnando quella crudezza visiva di cui Tondelli era sicuramente un maestro. Ciò che conferma la commozione di quest’opera è l’aderenza alla realtà del messaggio di Tondelli e allo stesso tempo la consapevolezza di quanto il mondo sia in parte cambiato nella considerazione dell’amore omosessuale. Ma quando ci si chiede, “E adesso la penserebbe ancora così?”, la risposta amara è forse si, ciò in quanto il travaglio, quello dell’omosessuale “di ronda” o anche più generalmente dell’uomo alla ricerca di se stesso e del proprio rapporto con l’Amore e della mancata perdita dell’individualità per vivere in un conteso simil“matrimoniale”, è ancora attualissima e arriva forte come un pugno.
Per gli amanti di Tondelli e per quanti non lo conoscono, quest’opera è un’occasione di scoperta o di ri-scoperta di pagine meravigliose, un testo che non sfugge anche a passaggi luminosi e poetici, perdendosi però anche in feroci descrizioni del sesso. I due attori e Adriatico che li dirige, lasciano emergere il tormento dell’uomo alla presa con l’Amore perduto e non affrontato che una volta perso ci spinge a ricercarlo ancora e più a lungo su atlanti pieni di percorsi sbagliati.
Lo spazio bolognese Teatri di Vita, fondato da Andrea Adriatico nel 1993, ha due sale: la più grande intitolata a Pier Paolo Pasolini, una più piccola alla memoria di Pier Vittorio Tondelli. Se uno è tuttora tra le figure simbolo del mondo intellettuale italiano e costituisce (senza – pare – poter fare a meno di un certo tono nostalgico) il grimorio perfetto per le citazioni colte, l’altro è uno scrittore quasi sepolto da quel terriccio un po’ fangoso che è stata – non solo in questo paese – la cultura degli anni Ottanta. Autore di romanzi spregiudicati, ruvidi, macchiati da quel suo inguaribile nomadismo di corrispondente e di «vagabondo delle stelle», avrebbe detto Jack London, contenitori di una lingua spezzata e straordinariamente visiva, qua e là quasi cinematografica, disperatamente autobiografico nel raccontare quella generazione di “avventurieri”, libertini e pionieri del moderno movimento omosessuale che l’Aids avrebbe spazzato via.
Al Teatroinscatola di Roma replica Biglietti da Camere Separate, uno spettacolo realizzato da Adriatico nel 2011 (a vent’anni dalla morte di Tondelli) che sulla locandina porta come dedica «all’amore, separato». Su due file di sedie poste lungo il muro del piccolo teatro di Testaccio, il pubblico si fronteggia, mentre l’azione si svolge ai due fondi della “scatola”, su piattaforme tonde circondate da mattoni nudi, bolle spaziotemporali speculari presidiate da ventilatori senza pale come oblò affacciati su un panorama scomparso. Adattata dal romanzo Camere Separate, la storia di Leo e Thomas comincia con la morte di quest’ultimo, il corpo esangue e il ventre gonfio di farmaci affondati in un letto d’ospedale, capezzale che Leo si limita a sfiorare, prima di indietreggiare di fronte alla figura del padre di Thomas e all’evidenza che quei tre anni di appassionato amore non rappresentano alcuna forma giuridica. Da questa immagine di amputazione si dipana il racconto, balza da avanti e indietro nel disegnare gli spostamenti del viaggio nomade di Leo, che riconosce dentro la digestione di quel lutto il proprio stesso processo di avvicinamento alla morte. Terminal di aeroporti, tavolini di bar pensati per un minimo di due che trasformano gli avventori solitari in icone di una solitudine sofferta, torbidi locali di strip-tease e fetish, l’inseguimento metodico di un equilibrio tra prossimità e assenza, che porterà Leo a imporre a Thomas un’unione in «camere separate», socchiuse a distanza di migliaia di chilometri e nelle quali fatalmente entrerà lo spettro della non completa appartenenza, nel non saper stare accanto. Un lavoro sui corpi, che sarebbe necessario in rapporto a un’impostazione rigidamente schematica dei movimenti, è invece quasi assente, impedendo ai due attori (Matteo Prosperi e Davis Tagliaferro) di imporre una reale presenza, di rendere giustizia al linguaggio spigoloso dell’autore e alle immagini a tinte forti.
Il montaggio del testo è accurato e sceglie di non recitare niente, lasciando pulite le voci in una lettura a memoria, a distanza, dello stesso romanzo. Pochi gli oggetti utilizzati tra uno stacco e l’altro di musica acida: microfoni con asta che in qualche modo richiamano insieme lo scettro e l’immagine fallica; un cavo elettrico che attraverserà l’intera stanza e sarà ora supporto per panni stesi, ora crudele gioco sadomasochista; camicia bianca e pantalone, che presto spariranno a mostrare un’immancabile nudità. Ma proprio quella cura insufficiente rischia di rendere immuni i corpi a qualsiasi nudità vi si applichi sopra: anche quella che si vorrebbe semplice e non scandalosa suona forzata, si rende goffa.
Proprio le curve, le forme, gli umori, le linee dei muscoli per i quali Tondelli non risparmia parole a tratti anche di lancinante poesia non trovano spazio in questo «sguardo» di Andrea Adriatico. Per raccontare l’ascesi di Leo – che usa la morte fisica di Thomas per sopravvivere a quella della propria anima di reietto – si sceglie quasi solo il mezzo della parola. Ma la presenza scenica e la potenza performativa dei due attori, nonostante gli sguardi buttati negli occhi del pubblico, non sono sufficienti a emozionare davvero, perché la regia ha finito per trascurare la dimensione carnale dell’esperienza di palco.
Tondelli e il teatro, in camere separate
della solitudine
Sto scrivendo questo libro “strappandolo letteralmente dalla mia pelle. Ci sono delle pagine che ho orrore di scrivere e che batto sui tasti del mio computer urlando come sotto tortura”.
Tondelli compone Camere separate mentre l’AIDS gli avanza nel corpo ma dall’esterno non si vede e, comunque, lui non fa nulla per mostrare segni di cedimento, necessità di stasi e recupero: moltiplica le collaborazioni giornalistiche; cura e fa pubblicare volumi di giovani autori; partecipa a convegni sull’attualità della letteratura; inventa progetti editoriali: per la Mondadori una serie di narrazioni tratte dal mondo della moda, della pubblicità e delle arti lavorative; con la Baskerville un volumetto artigianale (Biglietti agli amici), destinato ad avere un centinaio di copie; poi vola in Canada, per parlare delle influenze di Kerouac sulla prosa italiana, già pensando in che modo rivalutare lo scrittore, spesso marginalizzato dal viaggiatore sbronzo. Tiene conferenze, incontra gli studenti di liceo, rivaluta la figura di John Fante, cerca anche – qualcuno dice “soprattutto” – di fuggire al successo di Rimini, il libro che ha segnato il passaggio da Feltrinelli a Bompiani e che è stato accolto, da critica e pubblico, come “un volume di consumo”: con Rimini (e poi con Camere separate), si legge in qualche recensione, Tondelli si sarebbe avvicinato ai confini “commercialmente dignitosi, ma di discutibile qualità letteraria, della narrativa di genere”: “francamente da lui avevamo sperato ben altro”.
Lui, insomma, si lacera l’anima, “scrivendo sulla mia pelle e i miei pensieri”, mentre fuori lo sfiora la superficialità, quando non l’astio e la faciloneria dei giudizi: “Non sento più niente, mi sembra tutto circondato di un mantello d’indifferenza, mi scorre tutto intorno” per citare un passaggio di Camere separate che sia in grado di rendere il rapporto tra l’autore e una parte del resto del mondo.
Questo per dire che – rileggendo l’opera, dopo averne visto la messinscena – Camere separate di Tondelli mi sembra rendere soprattutto una condizione di solitudine e diversità che contraddistingue il suo personaggio e – d’altronde – sono proprio l’isolamento, percepito nella moltitudine, e l’estraneità a caratterizzare Leo, il protagonista del romanzo. “Lui si sente più solo, o meglio sempre più diverso” si legge immediatamente, e questa lontananza dagli altri non passa con lo sfogliare delle pagine tant’è che, a romanzo quasi terminato, prima si definisce “un reietto” e poi, con maggior precisione, fa di sé “un monaco”, un “eremita”: “questa” – conclude il pensiero – “è la sua diversità”.
È qui, a mio avviso, il vero dato autobiografico di Camere separate: è in questo mettersi nel racconto, nascondendosi nel racconto, il legame più stretto che unisce autore e opera, scrittore e personaggio.
in apparenza
In Camere separate abbiamo un uomo (Leo); quest’uomo conosce un altro uomo (Thomas): lo cerca, lo attira, lo frequenta, se ne innamora, certe notti lo contempla mentre dorme, baciandogli in silenzio la pianta dei piedi, carezzandogli i fianchi, guardandogli le palpebre chiuse vibrare durante il sonno mentre quando ci fa l’amore è come se pregasse; Leo partecipa dunque alla vita di Thomas rendendo brandelli della sua, quasi concedendosi del tutto, avvicinandosi pelle a pelle, sesso a sesso, ma mai del tutto invece, mai del tutto veramente, nonostante il senso di perdizione, la tenerezza, l’amore, il contatto, il desiderio, le promesse: mai del tutto perché sente la necessità di vivere in camere separate, perché sente – forse – che questo “Leo-e-Thomas” che sembrano essere diventati non potrà comunque durare, perché è come se fin dall’inizio avvertisse l’incombere di una condanna o un richiamo inevitabile alla dura concretezza dell’esistenza, come se avvertisse fin dal primo giorno che sta per arrivare per Thomas la malattia, la degenerazione fisica e il ricovero in ospedale che separeranno l’uno dall’altro prima ancora che lo faccia la morte: “Il padre rientra. Leo capisce che deve andarsene. Thomas è restituito nel momento finale alla famiglia, alle stesse persone che lo hanno fatto nascere e che ora stanno cercando di aiutarlo a morire. Non c’è posto per lui in questa ricomposizione parentale. Lui non ha sposato Thomas, non ha avuto figli con lui, nessuno dei due porta per l’anagrafe il nome dell’altro e non c’è un solo registro canonico sulla faccia della terra su cui siano state vergate le firme dei testimoni della loro unione. Eppure per oltre tre anni si sono amati con passione, hanno vissuto assieme. Hanno scritto insieme, hanno suonato, hanno ballato. Si sono azzuffati, strapazzati, anche odiati. Si sono amati”.
Questo passaggio, che sarebbe da sbattere sul muso di chi si ostina a negare diritti agli esseri umani in (ir)ragione del loro orientamento sessuale, termina così: “È come se improvvisamente, accanto a quel letto d’agonia, Leo si rendesse conto di aver vissuto non una grande storia d’amore ma una piccola avventura di collegio. Come se gli dicessero vi siete divertiti e questo va bene. Ma qui stiamo combattendo per la vita. Qui è la vita in gioco. E noi, un padre, una madre, un figlio siamo le figure reali della vita”.
Irreale figura della realtà, Leo si astiene dal contesto in cui si trova – il luogo di nascita, la famiglia d’origine, la terra dalla quale proviene e una festa, la strada, un concerto, l’insieme di persone che affollano l’aeroporto, questo rapporto d’amore – restandone sulla soglia o lasciandosi la libertà, talora pavida, di abbandonare, fare un passo indietro, sottrarsi: lascio questa casa, cambio città, non m’interessa, ti amo ma preferisco che ci sia tra noi una distanza. “Leo era sicuro di una cosa: che non voleva vivere nella stessa città in cui Thomas viveva. Voleva continuare ad essere un amante separato, voleva continuare a sognare il suo amore e a non permettergli di infangarsi nella quotidianità”. Lui, leggo poco dopo, “era certo del suo amore per Thomas, lo voleva per tutta la sua vita, fino alla fine. Ma non nella sua camera”. Respinto dal reale (o non appartenente in modo pieno e riconosciuto ad esso) Leo respinge a sua volta il reale: compreso quello rappresentato da Thomas nella sua assoluta completezza. Quando l’altro si o ti annoia, quando non hai niente da dirgli, quando vorresti essere altrove, quando invecchi, quando i silenzi si allungano, quando sei nello stesso letto ma – chissà perché – non cerchi la persona che ti è accanto.
la resa dell’apparenza
Andrea Adriatico prova a rendere in scena questo romanzo complicatissimo, tale nella forma – perché diviso in tre “movimenti” all’interno dei quali Tondelli sperimenta una scrittura fatta di continui cambi di luogo e di tempo per cui dopo, prima, durante si alternano, a distanza di dieci righe, come si alternano interni ed esterni, l’Emilia e Barcellona – ma complicatissimo anche perché in grado di rendere l’abisso di un individuo e il crepaccio che lo separa dagli altri. Ci prova, Adriatico: all’ingresso fa distribuire alcuni dei Biglietti agli amici agli spettatori, prestabilendo un’esclusività empatico-relazionale; allestisce lo spazio ponendo i due attori su altrettante pedane circolari, posizionate in angoli opposti, e sistemando a parete una quarantina di sedie, così da replicare de facto uno degli spazi descritti nel romanzo: “Alle pareti della stanza sono addossati sgabelli”.
Ci prova, Adriatico, non commettendo l’errore di fare degli interpreti la caricatura mimetica dei personaggi; ci prova stabilendo una partitura composta di coreografie a specchio e di incontri, abbracci, relazioni e distacchi, di condivisione episodica ora dell’una o dell’altra pedana – a casa mia, a casa tua – ora dello spazio centrale tra le due pedane: i luoghi neutri, interni o esterni, previsti nel romanzo. Ci prova in questo modo cercando d’esaltare proprio la solitudine individuale, rendendola la condizione di partenza e l’oggetto di un continuo recupero per cui mi specchio in te fino a coincidere momentaneamente con te per poi tornare nel mio guscio, sotto la mia campana, nell’utero che mi sono lasciato alle spalle. Ci prova in questo modo perché – per citare l’opera – anche “le scenate fra di loro erano sempre circoscritte in un territorio del quale entrambi sapevano” e perché Leo sente sempre e comunque “l’interezza della propria vita abissalmente separata dai grandi accadimenti del vivere e del morire. Come se avesse sempre vissuto in una zona separata” dalla società.
Ci prova facendo dei due interpreti i portatori interni di una storia che Tondelli narra talora dall’esterno, alternando prima e terza persona, per cui Alberto Baraghini e Stefano Toffanin – più che Thomas e Leo – sono la testimonianza (epica, verrebbe da dire) di Thomas e Leo; ci prova metaforizzando dal punto di vista visivo: la marcia in senso antiorario per indicare il ritorno al passato; lenzuola e federe per le camere da letto; un filo che trancia lo spazio per indicare un legame, una coincidenza cronologica e un rapporto sessuale (“Una curiosità eccitata lo stringe alla gola”; “il ragazzo gli sta legando qualcosa attorno al membro”); due ventilatori senza pale che alludono agli oblò degli aerei, a specchi di casa, a televisori paterni col loro telecomando ma che fungono anche da lente d’ingrandimento offerta agli spettatori perché possano affondare lo sguardo nei dettagli di questa storia.
Ci prova, Adriatico, confermando la propria devozione allo scrittore e tuttavia – nonostante lo sforzo e la generosità attorale – Biglietti da camere separate mi sembra cedere, sul piano teatrale, alla narratività della fonte, alla dominanza assoluta delle parole che – in scena – restano parole, materia orale, flusso sonoro. “Il miglior personaggio dei tuoi libri è il linguaggio”, scrive d’altronde Tagliaferri a Tondelli, e il linguaggio – inteso come “prosa pura” – è ciò a cui Tondelli si dedica (“il libro, la scrittura, lo stile, il linguaggio” è ciò che lo perseguita, in fase di composizione, come scrive a François Wahl) ed è questo personaggio/linguaggio l’assoluto protagonista del libro: impone “ritmi musicali” alla narrazione, gioca con “la digressione, la memoria, il flash back”, giustappone “alcuni motivi che vengono continuamente ripresi”. Ineliminabile, alla fine il linguaggio s’impone anche nello spettacolo e dunque alla teatralità delle immagini, dei corpi attorali, del tempo solo presente del teatro, costretto a ridursi a rimando alla pagina scritta tant’è che Adriatico impone ai suoi attori i microfoni ad asta (verbalità dichiarata), momenti di accentuata frontalità verso il pubblico (comunicazione diretta), sonorità ulteriori, come prevede il dettato (da Emilia paranoica dei CCCP a We Can’t Live Together di Joe Jackson) e un dire che prevarica il fare, l’agire, l’esistere. Così mi capita di cogliere, non di rado, negli spettatori la stanchezza e un bisogno di distrazione prima di ritornare all’ascolto.
A conferma di questo dominio eccessivo del lessico rispetto all’azione mi basta pensare a un momento dello spettacolo: gli attori si dirigono separatamente verso gli spettatori, ne scelgono uno e, impiantandosi al cospetto del prescelto, gli impongono una frazione del testo; l’attore, in piedi, davanti allo spettatore, seduto: la scrittura, dall’alto, inchioda cioè verticalmente in basso chi osserva inducendolo a una visione che viene coniugata principalmente in ascolto.
È in questo modo che la letteratura mi sembra avere la meglio sul teatro o che il teatro – in questo Biglietti da camere separate – non riesce ad essere teatro fino in fondo, limitandosi spesso a re-citare la letteratura.
infine, un’altra teatralità possibile
Durante lo spettacolo, solo per alcuni momenti, vivo una suggestione e per scriverla parto da ciò che afferma Fulvio Panzeri: “L’opera di Tondelli, attraverso gli infingimenti del linguaggio usati per celarsi dentro una specie di guscio protettivo, svela” il ragazzo che progressivamente si fa uomo.
La teatralità di Camere separate, che Panzeri cita proprio come esempio, allora risiede non nel rapporto tra Leo e Thomas ma nel rapporto tra Tondelli e Leo, tra colui che scrive e colui che diventa la maschera o, se preferite, il riflesso di chi scrive. Questo rapporto tra personaggio e scrittore lo testimonierebbe d’altronde un passaggio dell’opera in cui Leo – che fa proprio lo scrittore – in metropolitana nota uno sconosciuto che legge un suo libro: “Quando pensa a questo episodio lo colpisce l’idea di essere stato sorpreso, nudo, da uno sconosciuto. Sente insomma quel libro, o altri che ha scritto, come il suo corpo spogliato. Non è un’emanazione di sé, una proiezione, un transfert ma proprio, realmente, il suo corpo”. Leggere le pagine scritte da Tondelli significa “addentrarsi nella sua pelle e nei suoi nervi” e “fare l’amore con lui, odiarlo, ricordarlo, sognarlo”.
Così, durante Biglietti da camere separate penso talora che i due attori non sono – o non sono soltanto – un rinvio a Leo e Thomas ma allo scrittore e al suo romanzo: per questo i movimenti a specchio, gli abiti identici, i due interpreti che sono portatori del punto di vista e della voce di Leo, una relazione di avvicinamento e distacco, di desiderio e ripudio, di dipendenza e indipendenza incostante. Ma poi subentrano gli elementi scenici già detti che smentiscono la mia suggestione o la rendono relativa, secondaria, meno evidente. Un peccato, penso. Perché il vero teatro di Tondelli non si nota nella forma leggibile dei suoi romanzi (esempio: l’immagine immediata e fulminea e la registrazione del presente di Altri libertini o Pao Pao), non nei testi che ha adattato (Il piccolo principe) o scritto per la scena (Dinner Party), né la si trova cercandola nei rapporti dichiarati che ha avuto con la drammaturgia (ad esempio quella di Testori) ma è proprio in questo mettersi in scena truccandosi da figura dei suoi libri, relegandosi in questo modo ad ombra dell’uomo che avanza nella pagina o − per meglio dire − la sua teatralità è nella scelta di rimanere dietro le quinte, nel retro e cioè nella camera separata che gli spettatori non vedranno e che è l’equivalente oscuro della camera a vista, posta nel pieno dei fari del palcoscenico: lì dove un attore, il personaggio, avanza al posto suo per recitare il testo.
Forse proprio dalla perlustrazione di questa camera separata, più segreta e più difficile da rendere, verrà domani il teatro di Tondelli.
L’ultimo Tondelli che esplora i confini di amore e morte
Pier Vittorio Tondelli è uno scrittore che ancora, a distanza di venticinque anni dalla sua prematura scomparsa, continua a fare un certo scalpore, soprattutto per i modi crudi e diretti coi quali è riuscito a parlare di un tema come quello dell’omosessualità. Oggi, infatti, benché si millanti di vivere nell’epoca dei gay pride, dell’orgoglio omosessuale, sopravvive uno sconcertante pudore quando si affrontano questi argomenti in termine di sentimenti, mentre la si butta in facili sarcasmi quando si accenna all’amore fisico che nell’immaginario collettivo rimane per lo più “irregolare”.
Andrea Adriatico, fondatore e leader della compagnia Teatri di Vita, ricorda di aver conosciuto Tondelli, ma di non averlo particolarmente amato, in vita, probabilmente perché condizionato dalla miriade di etichette che gli venivano applicate; poi, col tempo, ne ha saputo cogliere la straordinaria potenza, la persistente attualità, tanto da arrivare a dedicargli una delle due sale del teatro bolognese che dirige, ma innanzitutto uno degli spettacoli che, a cinque anni dalla sua comparsa, più frequentemente replica di stagione in stagione. “Biglietti da camere separate”, che Adriatico ha così costruito sui testi dell’ultimo romanzo dello scrittore reggiano, è ora al Teatro delle Passioni, fino a questo pomeriggio alle 17, nell’interpretazione di Alberto Baraghini e Stefano Toffanin.
Spettacolo scarno, essenziale nell’allestimento, con il pubblico accomodato attorno a due pedane circolari, con oggetti di scena minimali, ad un certo punto addirittura nulla se non i due corpi maschili completamente nudi, vive sostanzialmente delle emozioni capaci di suscitare un testo carico di umanità, di passione amorosa, dei segreti propri della morte, trasmesse da una coppia di attori che sapientemente scompaiono dietro al proprio personaggio, che si materializza, così, in virtù della forza evocativa delle parole di Tondelli.
La storia descrive la tragica relazione tra Leo e Thomas, il primo scrittore di successo alla perenne ricerca di sé stesso in giro per l’Europa, l’altro giovane musicista bavarese in attesa dell’amore assoluto col quale condividere l’esistenza. Leo, al contrario, ama troppo una solitudine che probabilmente gli risparmia interrogativi che potrebbero rivelarsi dolorosi, e quando arriva il momento di assistere il compagno sul letto di morte capisce di aver gettato alle ortiche l’occasione di creare con lui qualcosa di stabile entri cui riconoscersi più compiutamente. La loro relazione viene descritta in un’altalena di passioni, emozioni, separazioni e ricongiungimenti fino all’atto terminale che giunge come un flagello. “Solo l’amore mi lega alla vita, alla realtà, alle voglie e quindi ai discorsi. Senza amore sono niente”, scriveva Tondelli. In fondo, l’epigrafe per uno spettacolo che sa parlare dell’uomo.
Il teatro che vede dove gli altri non guardano
Al Teatro Studio di Rovigo è andato in scena “Biglietti di camere separate”, di Teatri di vita. Tratto dal libro di Tondelli, un’opera difficile da portare in scena, eppure pienamente riuscita.
Non era facile. Con stupore nel leggere il programma della stagione teatrale al Teatro Studio di Rovigo curata dal Lemming, avevo trovato il titolo di uno dei miei libri di formazione. “Camere separate” di Piervittorio Tondelli è un libro che continua a districare matasse emotive a partire da una relazione che passa dall’istintivo alla TAC di un sentimento, fotografandone e analizzandone ogni metamorfosi del sentire.
Una narrazione difficile da portare su un palco, una produzione Teatri di Vita, che il regista, Andrea Adriatico, non tradisce e amplifica, grazie alla bravura dei suoi attori Alberto Baraghini e Stefano Toffanin, dei collaboratori alle scene e alle musiche. Il libro è stato messo a nudo anche portando allo spettatore le scene più crude, ma indispensabili per entrare nei meccanismi di una passione voluta, da cui ci si allontana per non inquinare, da cui però, non si riesce con tutto lo sforzo a separarsi se non con atti di rottura estremi.
La voce di Joe Jackson in “We can’t live together” accompagna il finale: “Così soddisfatto di noi stessi, ma c’è una cosa che ho scoperto a proposito di te e me… non possiamo vivere insieme, ma non possiamo rimanere separati… ma è troppo facile e poi… è troppo difficile”.
“Non esiste l’avanguardia, ci sono solo persone un po’ in ritardo” ecco, il manifesto della rassegna è perfettamente in sintonia con la solitudine narrata dallo scrittore Tondelli. “Oggi è forse uno dei pochi autori di cui credo di aver letto quasi ogni riga. A cui ho dedicato una delle due sale del teatro che dirigo. Convinto come sono che non sia, come ingiustamente molti pensano, solo un autore del suo tempo, miseramente relegato nel turbine di weekend postmoderni. Per questo provo a restituire Camere separate in brevi biglietti, vent’anni dopo, sentendone proprio ora tutta la straordinaria potenza e attualità”, scrive Andrea Adriatico.
Uno dei pochi libri che ho riletto più di due volte, e che ancora una volta nell’immersione della performance, regala emozioni che fanno bagnare le guance. Per chi volesse farne esperienza lo spettacolo replica stasera e domani sera.
Voglio il mio biglietto. Il Tondelli di Adriatico al Teatro delle Passioni
Non sarebbe stato male cominciare questo pezzo con alcune note introduttive sulla differenza tra romanzo e dramma, o sui molti e fertili scambi tra i due. Si sarebbe potuto citare Ronconi, Bulgakov… Oppure avrei potuto accennare al discontinuo, infedele ma inesausto rapporto tra Pier Vittorio Tondelli e la drammaturgia, per poi scivolare inavvertitamente verso cosa il teatro di oggi conservi e tramandi dell’opera di Vicky, approdando infine allo spettacolo in oggetto. Un curiosare mondano e libertino, quasi cronaca di un party: impraticabile, anche se intrigante. Meglio un pezzo post-moderno, un reportage collage di tutti i materiali accumulati in scena, magari con un ritmo ben studiato: e allora “i corpi e quindi i cazzi, i panni sopra il filo, un bacio uno soltanto, microfoni a passeggio, camicie giù per terra, ventilatori vuoti, sudari per finire”. Invece: niente. Biglietti, soltanto biglietti. A ogni tentativo di rendere conto, con precisione e responsabilità, con gli occhi e con la presenza sulla sedia nel perimetro di scena, di rendere conto dello spettacolo trascorso, mi s’impone una mancanza, un vuoto forte: il teatro questa sera non mi ha messo tra le mani alcun biglietto.
In scena dal 2 al 4 dicembre al Teatro delle Passioni di Modena, giunto alla sua terza edizione, “Biglietti da camere separate” è una produzione Teatri di Vita del 2011, con il sostegno di Comune di Bologna – Settore Cultura, Regione Emilia-Romagna – Servizio Cultura, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Lo sguardo del regista Andrea Adriatico sullo scrittore Pier Vittorio Tondelli si focalizza sul romanzo “Camere separate”, che racconta la storia d’amore tra Leo e Thomas in una narrazione capace di saldare nella stessa pagina, nella stessa frase, perdita e incontro, vastità e raccoglimento, lutto e scrittura.
Due camere. La concezione dello spazio scenico è esplicita: due pedane circolari, ricoperte da ingrandimenti di panorami, occupano specularmente i due vertici della scena. Tra queste isole di un impossibile atollo, molti viaggi; ma gli spostamenti a bordo pubblico, gli scambi di posto, le pratiche auto-sadomasochistiche e l’unico bacio scambiato non scalzano la percezione di un lungo ping-pong tra i due attori, un fluire regolato che innesca rari tensioni nell’arco scenico bipolare. La ricerca di una specularità e di una simmetria non regge a livello interpretativo; al di là dei rispettivi ruoli e personaggi, l’energia e la chiarezza di intenzioni messa in campo fino all’ultimo fiato da Alberto Baraghini non trovano riscontro in Stefano Toffanin, dotato di una fisicità accattivante, presto annullata da una recitazione incerta e irrigidita.
Tra qualche sbavatura e alcuni difetti di concertazione, poca, pochissima passione resta delle pagine di Tondelli, rese algide, quasi infreddolite, da una scarsa fiducia nell’istante della parola pura, così come dalla difficoltà di regolare il fluire narrativo amplificando il ritmo (o la stasi, se necessario) attraverso la scena. I numerosi accorgimenti impiegati per sostenere la lettura scenica sembrano voler difendere il pubblico dalla presunta monotonia del solo bianco e nero delle parole, non riuscendo a farne però umili, disinteressati e fedeli servitori del testo. Dal suono (musiche originali di Massimo Zamboni cantate da Angela Baraldi) ai movimenti scenici, dai cambi di abito (spogliarsi un po’ o del tutto) all’uso e allo scambio del microfono (luci, scene e costumi sono di Andrea Barberini): ogni variazione al gesto del porgere il testo viene condotta con intelligenza e pertinenza, ma illustrando più che scavando.
L’impressione globale di fronte a “Biglietti da camere separate” è che si tratta non di un dramma, di un fatto intimamente teatrale, ma di una lettura scenica leggermente animata.
L’elemento di maggior attesa e, a posteriori, di maggior delusione, si trova nel titolo, nell’aver voluto apporre al romanzo messo in scena una precisazione, (se poetica o didascalica era appunto da verificare) con quel termine apparentemente dimesso e poco impegnativo: biglietti.
“Biglietti agli amici” è un libro davvero singolare nella bio-bibliografia tondelliana: al di là delle vicissitudini editoriali del libro, si tratta di un’opera dalla struttura rigorosa, capace di incastonare l’unità base, il frammento (lirico o narrativo, diario o citazione), in una rete di relazioni necessarie e indispensabili: un libro esoterico e domestico (per una casa chiamata Europa) che dichiara progressivamente l’affetto che circonda ogni solitudine. Un’opera che racchiude germi ed echi di altri scritti tondelliani, ma che farebbe piacere vedere messa in scena così com’è, per un teatro che nasce dall’avere dei destinatari: un teatro padano e celestiale, solcato da incroci di angeli che con amorevoli cure guidano e tutelano i sentieri degli umani, cospargendoli di segni, incontri e biglietti.
Di tutto ciò, nello spettacolo di Adriatico resta soltanto il riferimento posticcio nel titolo, richiamato a inizio spettacolo dalla distribuzione allo spettatore di alcuni dei “Biglietti”. Lo spettacolo non ci consegna delle istantanee, delle illuminazioni, delle epifanie. Che fine hanno fatto i biglietti? Cosa sono diventati?
In questo spettacolo, l’amore non lascia tracce. Non abbiamo gli scontrini della prima cena, il biglietto di quel treno preso insieme, l’indirizzo di quell’albergo: non ci sono tutti quei frammenti di carta che messi insieme fanno la mappa di una storia d’amore. Non so voi: io, una volta, lo feci. Come regalo per il primo – e ultimo – anniversario, un grande collage con tutti i ricordi cartacei della nostra avventura a due. Non era mania adolescenziale, ma costruzione di un dialogo caldo di ricordi. Questo possibile calore non traspira dallo spettacolo. Cosa sono allora, le parti che compongono i novanta minuti in scena? Cosa troviamo al posto dei biglietti? Forse appunti personali presi su block notes nascosti nel cassetto, “trucioli” lirici impastati per occupare le assi di un palco. Forse pagine accostate tra loro con qualche nesso narrativo e richiamo tematico, quasi ritagli di giornali collezionati un po’ per noia, un po’ per curiosità, accumulati e accostati perché vicini stanno poi bene, come quando ci foderi un cassetto. Forse un’antologia ad uso privato, che riduce un romanzo a foglietti cercando però di non creare troppo vuoto tra le parti (ma un romanzo è una sinfonia di pause, non lo si scrive dalla prima all’ultima riga, è accumulo di frammenti che trovano finalmente casa).
Al posto dei biglietti, al posto di questo sforzo di comunione attraverso le parole, lo spettacolo di Adriatico sembra collazionare lettere intime rivolte a se stesso. Il pur sincero tentativo di dialogo con l’autore sembra escludere ogni altro interlocutore: è come se ci trovassimo di fronte a un doppio Narciso. Un Narciso però disincantato, che sa bene che quello là, riflesso, è se stesso, ma non può smettere di amarlo: e non cade nell’acqua, ma a forza di sguardi e dichiarazioni di amore prosciuga tutto lo stagno, e non resta che fango. E ancora, in quel fango modellato a suo piacere, Narciso continua ad ammirarsi, come una statua che contempla una statua.
Perfetta e ineccepibile la dedica dello spettacolo: “all’amore separato”.
Da Eros a Thanatos l’amore messo a nudo
Tondelli portato in scena da Adriatico
In scena uno spettacolo che è una traccia drammaturgica ricavata dall’opera di Pier Vittorio Tondelli, curata da Andrea Adriatico, col titolo Biglietti da camere separate, a Bari al Teatro Kismet. L’opera di partenza è appunto il romanzo di Tondelli Camere separate (ed. Bompiani, 1989), testo che viene dopo il più famoso Altri libertini: romanzi anomali e spesso autobiografici in cui lo scrittore emiliano, di Correggio, che doveva morire a trentasei anni nel 1991 stroncato dall’Adis, investiga con una scrittura di eccezionale acume e finezza, i contorti percorsi dell’io, della solitudine, dell’amore (omosessuale o meno che sia), come per un lungo viaggio verso l’assoluto, che poiè verso la morte.
Biglietti da camere separate sono poi anche dei bigliettini con frasi/versi/riflessioni di Tondelli, che vengono consegnati a ciascuno spettatore: pubblico selezionato, una cinquantina di astanti che prendono posto nello spazio vuoto rettangolare, con agli angoli due pedane circolari. I due personaggi-attori dai microfoni lanciano pezzi della storia di Leo e di Thomas, storia di un amore, storia in cui in specie Leo (alter ego dello stesso autore) riflette e percorre il travaglio di un amore che, al di là del desiderio sessuale, delle tenerezze, delle affinità, dei viaggi e delle lettere comuni, non riesce a incrinare il senso di separatezza, di solitudine cercata e respinta, di “alterità” e impossibilità (forse) di una condivisione umana totale. Momenti di fisicità e di energica corporeità, anche, all’interno della pacatezza della recita, con musiche pop-rock molto “emiliane” (di Massimo Zamboni cantate da Angela Baraldi) che si alternano a tonalità “sentimentali” in questo percorso narrativo spesso in flash-back e con continui slittamenti di spazio/tempo: ché il tutto avviene, nella mente di Leo, quando Thomas è già morto (Aids) in un letto d’ospedale, sotto fili, tubi, flebo. Un filo, una corda, nello spazio di separatezza fra i due attori e le due “pedane/camere separate” collega le due entità dei corpi amanti: occasione per riprodurre momenti quasi di casalinga quotidianità (panni appesi, lenzuola), ma anche episodi di violenta sessualià sado-maso, quando Leo evoca un rapporto furibondo con un gigolò, dopo la morte di Thomas.
La regia e la riduzione di Adriatico seguono solo in parte la divisione in tre momenti del romanzo di Tondelli, con qualche ripetizione e lungaggine nella parte finale, con la esibita cruda nudità dei due corpi (nella parte centrale) che si fronteggiano inermi, succubi e fragili agli sguardi. Ma la “contemplazione dell’amore” è in effetti soprattutto, in Tondelli, una sorta di “contemplazione della morte” alla Testori: le lenzuola di quelli che furono letti d’amore si immobilizzano a mo’ di sudari, nell’obitorio dei sentimenti. I due attori in azione erano Alberto Baraghini e Stefano Toffanin.
Applausi ai Biglietti da camere separate del pubblico al Teatro Kismet, dove lo spettacolo si replica stasera alle 21.
a quelle camere separate , sarei rimasto fedele sempre, fino alla morte!
Torna a Bologna, nello spazio dei Teatri di Vita, uno spettacolo amaro, forte, emozionante nella sua veridicità, BIGLIETTI DA CAMERE SEPARATE, tratto dal romanzo (Camere Separate, 1989) di Pier Vittorio Tondelli (scrittore e regista italiano scomparso prematuramente nel 1991) e rivisitato da un testo di una potenza devastante dal drammaturgo Andrea Adriatico (tra i più originali registi teatrali e cinematografici italiani).
Un copione bellissimo narrato a due voci.
Ed allora immaginate due camere separate, due cerchi di mattoni uno di fronte all’altro, due microfoni e loro (Stefano Toffanin, Alberto Baraghini) due ragazzi qualunque che si osservano, che si scrutano che si guardano e che ci guardano che si parlano e che ci parlano ognuno dalla propria camera, ognuno nella sua fragilità.
È una storia d’amore, che parla di sentimenti veri, un racconto triste raccontata con maestria da Thomas e Leo, amici, complici, compagni, amanti passionali uniti e separati da questo amore, da questa diversità nella concezione del loro amore: Thomas vorrebbe vivere Leo ogni giorno nella stessa casa, mentre Leo da lontano, dalla sua camera separata, spaventato dalla troppa vicinanza.
Gli attori sono vestiti con una camicia bianca e pantaloni neri ma ben presto, entrando nell’intimità della loro storia, rimango nudi, statuari di fronte al pubblico ed a loro stessi e lo spettacolo prende via come un nave che salpa dal porto, con una frugalità di parole ed ottime connessioni. La storia è struggente, uno sguardo in discoteca, un garofano rosso e scoppia la passione, una lotta sessuale, un bisogno carnale selvaggio che porta all’amore vero, vissuto in maniera diversa dai protagonisti, un amore fatto di distanza fatto di lettere, di valigie , di caldi abbracci e tanti arrivederci.
Poi la malattia, la morte di Thomas in quel letto di ospedale, martoriato dai farmaci che lo rendono irriconoscibile, morendo, Leo riconosce solo gli occhi neri di Thomas.
Ed allora non c’è spazio che allo strazio, al viaggio come fuga, alla solitudine come autodifesa di Leo, quella solitudine che impietosisce gli altri, quella sensazione di morte, di lasciarsi andare, quelle lenzuola bianche appese ad un cavo che collega le due stanze separate, il dolore della perdita; per poi dopo 4 anni in un pomeriggio a Montreal, vedendo un idrovolante volare, ritrovare una sorte di compimento , di pace , e finalmente ritrovarsi a salutare, anzi a dire addio a Thomas.
Bravi e preparati gli attori, profondi ed emozionanti le loro parole, si scambiano gli spazi in cui agiscono, si baciano, si sfiorano senza mai toccarsi mai del tutto, si spogliano con naturalezza come se fossero veramente nella loro camera, si muovono insieme in sintonia quasi perfetta.
Stupende e graffianti le musiche, di Massimo Zamboni cantate da Angela Baraldi, con cattiveria, urlate a tratti le parole, un inno di sofferenza gridato, un inno alla diversità, un inno alla cura.
Come si rappresenta in maniera efficace un incontro, con tutta la casualità e la leggerezza che lo accompagna, ma senza tralasciarne le implicazioni e complicazioni psicologiche? Come si rappresenta il tempo, quello che può legare e consumare una relazione sentimentale? Come si rappresenta la solitudine, quella sancita dall’assenza e quella acuita dalla presenza dell’altro?
E’ questo in estrema sintesi il sistema di questioni che sta alla base del progetto di Andrea Adriatico, regista di Biglietti da Camere Separate. Per lo meno, le questioni di messinscena possono racchiudersi in questo affresco, mentre sul piano dei temi e degli spunti per la riflessione lo spettacolo inquadra la temperie di tensioni che animò gli anni ’80. Uscito nel 2011 per il ventennale della morte di Pier Vittorio Tondelli, lo spettacolo viene riproposto in questa stagione in occasione dei 25 anni dalla scomparsa dello “scandaloso” scrittore di Correggio. Il lavoro di Adriatico parte da una appassionata conoscenza dell’opera e della figura di Tondelli, ma anche di quegli anni su cui la sua parabola creativa ed esistenziale si consumò velocemente: Tondelli muore nel 1991, vittima dell’ignominioso flagello nascosto dietro la sigla AIDS; due anni prima ha pubblicato Camere Separate, il romanzo della maturità estrema, forse – come si usa – il suo testamento artistico.
L’amore gay, la relazione a distanza, l’unione “moderna” senza vincoli formali, ma soprattutto la progressiva coscienza di sé, della propria individualità stridente contro ogni idea di coppia, la consapevolezza spietata neanche più del limite quanto “semplicemente” dell’impossibile. In scena, questo complesso di forze – che ben si attaglia ai modi del romanzo – viene gestito a partire dal disegno spaziale: lo spettatore varca la soglia di un interno e questo ingresso in una dimensione privata è formalizzato dalla presenza dei due attori sul limitare dello spazio, intenti ad accogliere i loro “ospiti” con sobria ritualità. Le prime parole di Tondelli proposte al (con)tatto del pubblico sono quelle mute che poggiano sui biglietti distribuiti nel corso di questo prologo all’azione.
L’aspettativa così costruita prepara ad uno sviluppo aperto: ad una cerimonia vagamente esoterica o ad uno spaccato d’intimità del tutto semplice, finanche domestico. Lo spazio scenico, condiviso da pubblico ed attori, è in realtà contrassegnato non dalla comunanza, ma dal segno della ripartizione: diviso è il gruppo già esiguo degli spettatori selezionati per ogni replica, disposto secondo due “L” non comunicanti che lambiscono la superficie di scena; divisi sono i due attori, isolati su due pedane circolari collocate simmetricamente in due angoli. Ciascuna delle pedane è delimitata da mattoni forati, e questo tratto di matericità povera contrasta con la dotazione di un microfono ad asta (che a sua volta contrasta con la vicinanza fisica del pubblico). La simmetricità della scena “contagia” l’azione che lentamente si scioglie dalla sua fissità dominante, sviluppandosi con alterne fortune tra le potentissime scosse di puro punk emiliano firmate da Massimo Zamboni.
La distanza – o meglio, la frustrazione di un contatto atteso e tradizionalmente inteso – appare dunque la cifra più convintamente inseguita dallo spettacolo: i due attori possono anche approssimarsi ai singoli spettatori in alcuni momenti, oppure rompere ogni residuo diaframma di convenzione cercandone gli occhi durante i momenti parlati, ma la brevità non si trasforma mai in vicinanza. Così anche la nudità dei corpi non crea contraccolpi né svelamenti all’interno di un gioco scenico che vela ed opacizza tutto ciò che sfiora.
Siamo alla fine degli anni 80’a Bologna, le canzoni dei CCCP si impongono nel panorama musicale punk italiano e europeo. Tutto nasce e riporta a Berlino, la città degli scrittori, dei creativi, degli spiriti solitari dove si sono formati i CCCP e dove Thomas decide di andare a vivere. Qui inizia la storia della “strategia della Camere Separate”, una scelta di vita o di rinuncia alla vita? Camere Separate è un romanzo dello scrittore e giornalista emiliano Pier Vittorio Tondelli pubblicato nel 1989, riscritto come testo teatrale e messo in scena da Andrea Adriatico a partire dal 2011. Il 5 dicembre 2019 è andata in scena una nuova versione dello spettacolo presso i Teatri di Vita di Bologna, sempre sotto la regia di Andrea Adriatico che, ancora una volta, si affaccia alle tematiche di genere dopo essersi confrontato con testi di Copi, Elfriede Jelinek, solo per citare alcuni nomi.
La “strategia della Camere Separate”
La voce di Angela Baraldi echeggia in sala con la canzone Emilia Paranoica di Massimo Zamboni (CCCP). All’ingresso ci consegnano i pass per salire sulla macchina del tempo della memoria di Leo, il protagonista. L’immagine di un fascio di luce bianca che ritorna frequentemente nelle parole di Leo, diventa un elemento efficace per condurci con trasporto nel ritmo incalzante di un flashback altalenante il cui inizio è la fine della storia.
Thomas un musicista e Leo uno scrittore si sono conosciuti a una festa a Parigi e si sono innamorati. Le parole di Pier Vittorio Tondelli, diventate materia teatrale, si sdoppiano tra i due personaggi in una struttura a specchio: i due “narr-attori” interpretati da Francesco Martino e Damiano Pasi sono portavoce di un dramma personale quello di Tondelli, che in questa messa in scena di Adriatico diventa un dramma corale: quello dell’artista, dell’omosessuale e della solitudine. Leo decide di mettere delle regole in questa storia, di imporre una strategia, la “strategia delle Camere Separate”, secondo cui Leo era deciso a amare Thomas, ma voleva continuare a essere un amante separato: Leo voleva Thomas, ma non nella sua Camera, per non cadere vittima della quotidianità, per continuare a vivere nel desiderio e per mantenere la sua individualità. Leo vivrà tra Parigi, Berlino e Da qui la scelta del brano “We can’t live together” di Joe Jackson del 1986, stesso anno in cui Tondelli ha scritto il romanzo “Biglietti agli amici”. Nel frattempo Leo viaggerà per l’Europa, mentre Thomas vivrà con una donna per colmare questa distanza, elemento solo citato, ma non approfondito.
Una scenografia efficace
I due attori sono ai due lati opposti della sala nelle loro due camere separate a base circolare, scelta scenografica strategica per mantenere viva l’attenzione sul racconto e spingendo lo spettatore a spostare lo sguardo con curiosità da un attore all’altro e da una parte all’altra della sala. I ricordi rimbalzano come schegge impazzite dentro un flusso di coscienza portato all’estremo, dove il testo teatrale riesce a soffermarsi sui dettagli descrittivi tanto cari a Tondelli e dove l’investigazione da quella fisica passa a quella interiore. Leo ha voluto mantenere la sua solitudine (separato dalla società e vedendo Thomas a sprazzi), fino al giorno in cui si ritrova solo davvero. Thomas è morto a causa di una malattia incurabile e ciò che resta è solo quella stanza separata “fatta degli occhi di Thomas”, come Leo li ha visti l’ultima volta, quel giorno dopo aver ricevuto una telefonata dal padre di Thomas. Thomas e Leo diventano le due facce della medaglia dell’alter ego dello scrittore Tondelli.
Leo colma il vuoto della solitudine cercando gli occhi di Thomas nelle sensazioni, fino al giorno in cui si mette a nudo, mette a nudo la propria anima, resta soffocato nelle sue scelte e come strozzato, riesce solo a emettere un grido: è la voce del bambino Leo, vagito sepolto nel profondo del suo dolore.
Il testo di Andrea Adriatico si colloca in maniera convincente dentro la macchina scenica, lo spettacolo rivela un’impronta moderna e originale nell’uso degli spazi, del dialogo tra le musiche e le parole, nell’uso degli oggetti di scena che acquistano una connotazione altamente simbolica. La corda diventa metonimia di un filo conduttore tra due vite, di una vita appesa a un filo soffocante, di un confine dell’esistenza. Il lenzuolo è il letto che non è stato mai pienamente condiviso e è il velo della morte. Il microfono impugnato con decisione come un trofeo davanti al pubblico dai due attori, diventa doppio microfono usato da Leo dopo la morte di Thomas. Le due anime si riconducono così a quella di Tondelli e una sola voce.
Leo scopre a sua volta di avere una malattia, quella che lo condurrà a condividere il suo letto con Thomas, nelle stanze del paradiso. Pier Vittorio Tondelli muore di Aids nel dicembre del 1991.
Per un teatro diretto, che dice quello che gli altri non dicono
Questo spettacolo nella nuova versione mostra un Andrea Adriatico nel pieno della maturità artistica, senza esitazioni e con un slancio ancora più forte verso l’idea di un teatro diretto, che dice quello che gli altri non dicono, che guarda dove gli altri non guardano, lasciando spunti di riflessione sulla vita e sull’arte grazie a una recitazione intensa che ben serve un testo altrettanto intenso.
La sala è sparsa di biglietti, frammenti dell’anima di Tondelli, riuniti in un puzzle teatrale: “In quel dicembre a Berlino, nella sua casa di Köpenickerstrasse io volevo tutto. Ma era tutto, o solo qualcosa, o forse niente? Io volevo tutto e mi sono dovuto accontentare di qualcosa” (P.V. Tondelli, Biglietti agli amici).
Torna rinnovato nel cast, un gioiello, messo in scena da Andrea Adriatico, di quella fucina di idee e talenti che è Teatri di Vita a Bologna. Torna quel Biglietti da Camere Separate già visto, da chi scrive, dieci anni fa per la prima messa in scena con Mariano Arenella e Maurizio Patella intensi protagonisti. Dopo loro altri cast si sono susseguiti (nel 2014 al Teatro in Scatola con la coppia Prosperi-Tagliaferro), fino ad arrivare all’odierno riallestimento del decennale di quella che è la rappresentazione di un romanzo intimo che racchiude il Pier Vittorio Tondelli segreto di fronte ai misteri dell’amore e della morte.
CAMERE SEPARATE: il capolavoro introspettivo di Tondelli
E’ il 1989 quando “Pier” pubblica Camere separate, una storia bruciante e autobiografica. Di lì a due anni colui che fu, e resta, uno dei più grandi autori moderni italiani cessò la sua breve vita terrena, per lasciarci pagine caustiche, cariche di vita, di amore, rancore, complessità quotidiana e semplici emozioni.Ed è in “Camere Separate” che il Tondelli di “Altri libertini” (il primo romanzo pubblicato nel 1980 e processato per oscenità), di “Pao Pao” (irriverente galoppata nelle gioie e nelle frustrazioni del servizio militare), degli articoli e dei reportage giornalistici confluiti in “Un weekend postmoderno” (vera e propria esaltazione e al tempo stesso ironica analisi di un decennio “da bere”), lascia i panni del ventenne scapestrato per esplorare gli angoli più riposti del suo cuore. E lo fa nel suo romanzo più intenso, capolavoro introspettivo della maturità, dove la fine sceglie di farsi apprezzare da tutti noi sin dall’inizio, insinuandosi piano ma con determinata violenza nelle menti di chi legge.
BIGLIETTI DA CAMERE SEPARATE: atmosfera fedele al libro
La storia raccontata in scena con atmosfera fedele al libro, è quella di Leo, scrittore omosessuale che deve fare i conti con un lutto importante nella sua esistenza, la morte del giovane Thomas, il compagno amato a cui si racconta. Sarà l’occasione per inseguire le tracce di sé disseminate nel tempo di una vita, dall’adolescenza inquieta in un paese della provincia padana al successo editoriale e ai viaggi per l’Europa mentre la geografia politica ed emozionale di un intero continente cambia pelle.
In questo quarto allestimento sono Francesco Martino, un James Dean postmoderno veramente perfetto in Camera 1, e Damiano Pasi, efficace in Camera 2, entrambi già parte del cast scelto da Adriatico per “Il mio amico Hitler”, a dare corpo al racconto, portando con naturalezza l’abito della nudità delle membra che in realtà è la nuda verità dell’amore. Le “camere separate” altro non sono, infatti, altro se non la richiesta di un modello d’amore, capace di esprimersi solo per prossimità e mai per convivenze troppo opprimenti. L’amore e il sesso vengono raccontati con le voci e i corpi dei due attori, attraverso le parole del romanzo. Il teatro-romanzo prende così forma attraverso le affascinanti atmosfere visive e la potente fisicità dei performer sostenute dalle musiche originali di Massimo Zamboni e le canzoni di Angela Baraldi che accompagnano dal 2009 i “Biglietti”.
L’amore e il sesso in innumerevoli biglietti
L’amore e il sesso vengono raccontati con le voci e i corpi dei due attori, attraverso le parole del romanzo, frantumando quella storia in innumerevoli «biglietti» che cercano di ricostruire ciò che forse si è perso per sempre.
Andrea Adriatico ricorda così la sua decisione di mettere in scena questo testo e di riportarlo alla luce ancora dopo dieci anni: “Ho conosciuto Pier Vittorio Tondelli negli anni amari, in quel finire di secolo che ha sterminato le menti che ho amato di più nella mia prima giovinezza. Sì, gli anni ’80 sono questo per me: anni amari. L’Aids si è portato via i sogni della gente di quel tempo, e non li ha più restituiti. Anzi… ha regalato in cambio un sonno perenne, definitivo, ad un’intera generazione. Gli anni amari di Pier Vittorio Tondelli sono finiti così, nel 1991, vent’anni fa, al debutto di un Natale, in un letto d’ospedale. Non ha parlato mai della sua malattia pubblicamente. Non ha parlato mai del suo morire. Almeno in apparenza. L’ha però trasposta in un racconto carico di umanità legato alla morte altrui, usata come specchio per l’anima. Ha però parlato di omosessualità, di silenzio, di vita, di misteri delle emozioni, quasi suo malgrado. Ha percorso il suo tempo spaventato dall’essere considerato troppo giovanilista, troppo frocio per froci, troppo marchio per esordienti, troppo etichetta, secondo la moda che gli anni amari hanno trasmesso alla storia. In quegli anni non l’ho amato. Oggi è forse uno dei pochi autori di cui credo di aver letto quasi ogni riga. A cui ho dedicato una delle due sale del teatro che dirigo. Convinto come sono che non sia, come ingiustamente molti pensano, solo un autore del suo tempo, miseramente relegato nel turbine di weekend postmoderni. Per questo provo a restituire Camere separate in brevi biglietti, vent’anni dopo, sentendone proprio ora tutta la straordinaria potenza e attualità.”
Le scene e i costumi sono di Andrea Barberini e con la loro disarmante semplicità si lasciano plasmare dal gioco visivo della regia di Adriatico e dalla plasticità dei corpi che li abitano, li vivono, li mutano pur lasciandoli apparentemente uguali, come capita spesso agli esseri umani che pur sembrando immutati esteriormente, vengono cambiati dai fatti che a loro accadono anche nel solo intervallo di un pensiero.
Cosa è mutato invece in dieci anni di questo spettacolo?
Se la prima coppia Patella/Arenella era perfetta, per un allestimento cucito loro addosso da Adriatico, nel rappresentare le inquietudini del rapporto tra Leo e Thomas basato sulle “camere separate”, tra attrazione e gelosia, tra passione e distacco, con due attori in evoluzione introspettiva, la coppia Martino/Pasi offre ancora una differente sfumatura, più dolorosa nel corpo magro e flessuoso del primo, carico di spigoloso erotismo contrapposto a una più evidente muscolosità del secondo. Questa in sintesi la differenza che rende profondamente toccante questo nuovo allestimento, non già per una qualche diversità recitativa, ma per la differente fisicità dei protagonisti che ancor più evidenzia in Leo, soffocato dal dolore per la morte di Thomas, la sensazione di aver perduto per sempre anche la propria giovinezza e uno sguardo puro e irriverente verso la vita.
TONDELLI A CASA. Da dicembre 2021 Biglietti da camere separate entra nelle ‘camere’ delle case private, in una versione ‘privata’ per pochi spettatori domestici: spettacoli da passaparola, da bigliettini offerti a pochi intimi per invitarli nelle abitazioni dove Leo e Thomas possano rivivere per una sera.