oplà. noi viviamo

fratelli di massa pensando ernst toller

con il lavoro di alessandra carloni, alessandra gruppioni, alessia olivieri, alfredo putignano, antonella scardovi, barbara pulliero, chiara chiarini, cinzia fabbri, cleta raspadori, daniela cotti, eriberto rosano, emanuela pierucci, fabio michelini, fabrizio riva, franco fantini, gabriella verdi, iris faigle, luca nunziata, marc richman, massimo bertocchi, monica nicoli, patrizia bernardi, roberta occhi, rocco bernasconi, serena martelli, stefania gelli

e con papa ricky

grafica e fotografie filippo partesotti
organizzazione paola contento, marinella marovelli
luci e suoni claudio ragazzi, stefano meldolesi
aiuto ai fratelli di massa angela giunta
unificazione dei fratelli di massa iris faigle, patrizia bernardi
spielleiter adriatico
costumi dei fratelli di massa G di Romeo Gigli
produzione Santarcangelo dei Teatri
in collaborazione con Società Autostrade, Tagliavini
Prima rappresentazione: Santarcangelo, XXII Festival Internazionale Santarcangelo dei Teatri, Sferisterio, 3 luglio 1992

 

Visioni critiche

Lo spettacolo ha ricevuto due segnalazioni al Referendum per i Premi Ubu 1993 da Stefania Chinzari e Gastone Geron.

Il testo di Toller resta a livello di brandelli, di memoria. Perché altre sono le pesti che qui si combattono, quando alla guerra delle armi si è sostituita quella dell’Aids e alla sconfitta della rivoluzione il degrado morale del paese. Così a Toller si mescolano parole di Pasolini, la ribellione di De André, i discorsi di Claudio Martelli, la voce del presidente Scalfaro, l’urlo della vedova di uno degli agenti uccisi con Falcone. Su tutto, accanto a queste parole e a questi frammenti, la musica di Mahler.
Il senso di pericolo, ma anche il senso del passare del tempo ce lo dà la suggestiva ambientazione di questo spettacolo: una autostrada con lavori in corso, segni di frenate sul terreno, fra un gran sventolare di bandiere rosse, segnali certo di pericolo, ma che ripropongono anche nel colore quell’utopia rivoluzionaria continuamente citata. Su questa autostrada corrono come atleti del cuore, con la loro fiaccola luminosa in mano, ragazzi e ragazze. Arrivano da lontano, testimoniano la loro presenza muti, oppure sussurrano parole incomprensibili che ci arrivano a frammenti, fino a quando, fra il gracchiare delle radio sulle auto, resta il rap provocatorio di Papa Ricky. E qui si chiude emblematicamente lo spettacolo che era iniziato con Yesterday, a significare quell’ideale passaggio di consegne fra le generazioni che l’intero spettacolo richiama.

Ecco un’immagine metaforica di lavori in corso, con due tre quattro omini disegnare segnali con il linguaggio delle loro bandierine rosse; ecco l’avanzare ininterrotto in corsa di portatori di fuoco, come nuovi prometei; il determinarsi di piccoli incidenti o di quadretti quotidiani alla Bausch; l’irrompere melodico di Ciaikovski, o di Mahler dopo i Beatles e prima del rap di Papa Ricky, tra citazioni di attualità ufficiale, annunci di morte, parole di rivoluzione e di vuoto generazionale.

Il fallimento è quello generale, subdolo, mai fortemente esplicito di questi nostri anni di benessere, di edonismi conclamati e superficiali. Uno spaccato di autostrada, con tanto di lavori in corso, accoglie i rituali di una gioventù ansiosa di vita e al tempo stesso segnata da un profondo disagio, percorsa da interrogativi e pericolose pulsioni di morte, protesa verso un futuro la cui circolare e vuota ripetitività si traduce spettacolarmente in una corsa ossessiva, dei quasi trenta interpreti, sulle note gravi e struggenti della quinta sinfonia di Mahler, attorno all’ampio spazio scenico. E sono giovani tedofori, con fiaccole stradali in mano, il cui correre è interrotto da brevi frammenti parlati, discorsi di speranza e di voglia di cambiare alternati a gesti di una quotidianità vuota e perniciosa.

Gli attori, che si moltiplicano come in sogno, corrono in cerchio quasi a delimitare una zona rituale. La sopravvivenza è infelice, dicono le azioni e le corse dei giovani portatori di fuoco, novelli Prometei che col divino non sanno più parlare. Un suggestivo spettacolo in forma di rebus.

Si ha l’impressione che sia una sorta di commemorazione, un de profundis recitato sui sogni di una generazione che non ha saputo sopravvivere alle proprie utopie.